VINCENZO SARDELLI | Un confronto esistenzialista sui grandi temi della vita e della morte, della felicità e della fede. “Sunset Limited”, di scena al Teatro Sala Fontana di Milano fino al 25 gennaio, è un dialogo filosofico tra due personaggi tratti dall’omonimo romanzo breve di Cormac McCarthy (Einaudi 2008).
Il Bianco e il Nero, interpretati da Fabio Sonzogni e Fausto Iheme Caroli, sono due uomini di mezz’età ormai nella parabola discendente della loro vita. Si confrontano seduti a un tavolo di cucina, davanti a una Bibbia e a un quotidiano, metafore dell’eterno e del contingente. La messinscena di Fabio Sonzogni, regista oltre che attore, osserva le classiche unità aristoteliche di luogo, tempo e azione. Scenografia e costumi richiamano la quotidianità dozzinale. Poco spazio agli orpelli: la regia asciutta, essenziale, si concentra sulle parole. Nessun commento sonoro, solo qualche voce di sottofondo, a ricostruire in maniera evocativa l’atmosfera di degrado sociale in cui è ambientata la vicenda. Il difetto di questo copione sta forse nella monocorde proposizione di due identità imprigionate ciascuna nel proprio ruolo, senza scosse, senza possibilità di evoluzione. Senza che lo spettatore sia messo in grado di intravedere quella ricchezza di sfumature che invece si aspetterebbe di trovare nei personaggi in scena, data la complessità dei temi trattati.
Il Bianco è un professore universitario sprofondato nel nichilismo; il Nero è un proletario con un passato da alcolista e una storia di carceri e violenze, che ha scoperto la fede in Cristo. Il Nero è stato redento e vuole redimere; il Bianco ingaggia con il Nero un duello sul senso della vita.
Una rete come un diaframma separa la scena dal pubblico. Due divani coperti da teli bianchi rendono un senso d’incompiutezza disadorna, ma invitano a svelare l’essenza delle cose.
Una pentola fuma sui fornelli: è il preludio a un incontro eucaristico tra i protagonisti, che non li condurrà mai alla fusione. Sulla porta, chiusa con chiavistello e catene, soglia non solo allegorica da superare per rigettarsi nel mondo o ripiombare nel nulla, campeggia un crocefisso.
È questo il ring della sfida. L’uomo bianco stava suicidandosi sotto un treno; l’uomo nero è colui che l’ha salvato e condotto nella propria casa. Il velo è una cappa di disincanto che avvolge la scena. La luce della speranza, l’attesa della felicità, tenterà di squarciare quel velo.
L’intelligenza vivace e ironica dei due personaggi conferisce comunque al confronto, impostato alla maniera della dialettica platonica, un tono di leggerezza. La catastrofe sembra sempre sul punto di essere scongiurata. La sfida è in costante equilibrio, fino all’escalation finale dell’arringa del Bianco, che pare delineare un “vincitore”.
«Diventare vecchi è insopportabile e umiliante» scriveva Philip Roth in “Everyman”, uno dei suoi romanzi più dolenti e implacabili intorno alla senilità e alla malattia, argomenti temuti e tenuti ai margini del discorso pubblico. In “Sunset Limited” (il titolo allude al treno superveloce che collega Louisiana e California, sulle cui rotaie il Bianco cercava la morte) è il mondo occidentale che sembra contemplare la propria estinzione. In questo nichilismo imperante la possibilità della morte diventa scelta legittima di libertà, anziché atto di fuga.
La dialettica fra le due posizioni contrapposte, interpretate con naturale forza icastica dai due attori, sempre più efficaci via via che la matassa si dipana, scuote la coscienza dello spettatore. Lo interroga. Lo sollecita alla riflessione e alla ricerca.
In una società che tende a narcotizzare la meditazione e a rimuovere il dolore, merito di questo dramma è il richiamo al senso della realtà e della storia. Eludere o rinviare gli interrogativi esistenziali equivale a ingannarsi, e rende perciò stesso la vita indegna di essere vissuta.