VINCENZO SARDELLI | Sono passati dieci anni da quando la premiata ditta Renato Sarti-Bebo Storti ha portato per la prima volta a teatro “La nave fantasma”. Ne sono passati sedici dal Natale del 1996, quando un’imbarcazione con a bordo 500 clandestini naufragò al largo di Portopalo, tra Sicilia e Malta. Le vittime furono 283. Provenivano da India, Pakistan, Sri Lanka.
Quella raccontata nella “Nave fantasma”, che torna al Teatro della Cooperativa dal 22 al 27 gennaio, è una delle pagine più umilianti dell’Italia repubblicana: nessuna indagine giudiziaria, pescatori che ributtavano in mare i cadaveri impigliati nelle reti per evitare i blocchi imposti da eventuali indagini, giornali che liquidarono la vicenda con poche righe confuse.
Per anni le autorità italiane insabbiarono la tragedia. Eppure recuperare la nave e dare sepoltura ai cadaveri sarebbe costato meno di un miliardo di lire. Cifra irrisoria per un Governo: il costo di un appartamento nel centro di Roma.
Il “naufragio fantasma” – così fu chiamato dai giornali – affiorò dalla cortina di reticenze solo grazie a un’inchiesta di Giovanni Maria Bellu, che su “Repubblica” pubblicò le foto del relitto e di quel che restava dei corpi. Le indagini furono raccolte nel libro “I fantasmi di Portopalo”.
A caricare di sfumature surreali e grottesche quella vicenda, che sembrava uscita dalle pagine di Verga o da un racconto di Sciascia, cipensarono Renato Sarti e Bebo Storti nel loro ennesimo spiazzante cabaret d’inchiesta. Uno spettacolo che più lo guardi, più provi vergogna. Vergogna per la verità fatta a brandelli. Vergogna per l’indifferenza di quei giornali e di quella tv pronti a spettacolarizzare il dolore solo quando le vittime hanno la pelle bianca e il portafogli pieno. Vergogna per l’omertà delle “autorità”. Vergogna per il cinismo dei trafficanti di uomini.
Nella “Nave fantasma” la tragedia si stempera nella satira, l’informazione si accompagna alla riflessione sul degrado umano.
Atmosfere espressioniste, gommoni e manichini pieni d’acqua, mari e spiagge immaginarie, sono gli elementi della messinscena, con l’ausilio di materiali e disegni realizzati da Emanuele Luzzati. Ci sono citazioni dalla “Tempesta” di Strehler, con teli che volano e macchine del vento. Lo spettacolo fa anche pensare all’Odissea.
L’umorismo pasticciato di Bebo Storti e Renato Sarti, che si vale di espedienti come l’improvvisazione e il rapporto continuo con il pubblico, coniuga tragedia e cabaret. Sulla scia di Dario Fo, i due protagonisti sciorinano il meglio del proprio repertorio artistico. Storti coinvolge il pubblico con imitazioni effervescenti; Sarti compensa il cinismo del compagno arrabattando fatti e sentimenti.
Uno spettacolo d’impegno civile. Da non perdere per chi non l’ha mai visto; ma anche da rivedere per tutti quelli che vogliono riflettere, una volta di più, sulle miserie umane in ogni senso, dall’opportunismo dei politici agli insopportabili rigurgiti xenofobi.