ifhuman_fearanddesireBRUNA MONACO | Nove attori e una danzatrice. Provengono da percorsi artistici e formazione diversi. Anche in fisicità, lingua e cultura differiscono. IfHuman, come la maggior parte delle compagnie di danza contemporanea o di teatro-danza che si rispetti, è un gruppo ad ampio spettro di eterogeneità. Dietro le quinte, chi ha ideato il progetto e dato forma allo spettacolo: Gaia Saitta, regista, e Julie Anne Stanzak, coreografa.
Il modello di riferimento del neonato collettivo (creatosi proprio attorno a questo progetto) è il Tanztheater di Pina Bausch. Del resto Julie Anne Stanzak fa parte del Tanztheater da quasi trent’anni. In Fear and Desire (in prima mondiale all’Auditorium di Roma all’interno del Festival Equilibrio), però, manca non solo il genio degli spettacoli della Bausch, ma un punto di vista originale sul mondo e la capacità di trasformare le idee in corpi in movimento. Le paure e i desideri rappresentati sono ordinari, retorici e, peggio, sono detti: dal fondo scena avanzano uno alla volta i dieci interpreti, ognuno nella propria lingua nomina un bell’oggetto, un bel ricordo: un desiderio. Un brutto oggetto, un ricordo spiacevole: una paura. Troppo spesso l’impressione è di assistere a uno spettacolo poco meditato. E non è solo a causa delle piccole imprecisioni e di alcuni movimenti maldestri: l’autobiografismo ostentato e i ripetuti ammiccamenti al pubblico denunciano un’insicurezza di fondo.
Sottotitolo e presupposto teorico di questo spettacolo è Not everyone can be a dancer, But everybody can dance. Un assunto, in effetti, un po’ scontato, un’affermazione di buon senso, di difficile smentita. E il dato è ancor meno sorprendente perché non sono persone comuni quelle che il duo Saitta-Stanzak ha portato in scena. Non impiegate o impiegati inadatti al movimento, magari obesi e sedentari, ma attori dai corpi prestanti: non ci si può meravigliare più di tanto nello scoprire in un attore una predisposizione alla danza. Anzi. Soprattutto nell’era della commistione delle arti della scena, in cui teatro e danza si intersecano in ogni modo, fra loro e con altri generi performativi, dando vita ora al teatro-danza, ora al teatro fisico o al circo contemporaneo.
Fear and Desire resta comunque l’esordio di una compagnia appena nata, nonché la prima volta di Gaia Saitta alla regia. D’altronde è possibile che una prima mondiale in un contesto importante e altamente qualificato come il Festival Equilibrio fosse troppo impegnativo per una compagnia di così recente formazione. Anche le condizioni di produzione a cui il collettivo IfHuman ha dovuto attenersi non sono quelle delle compagnie riconosciute a livello internazionale, sovvenzionate, che di norma ospita l’Auditorium: a parte due residenze in Belgio e una in Puglia, Fear and Desire è stato portato a termine grazie all’auto-sostentamento del collettivo, come in genere, purtroppo, accade alla maggior parte delle compagnie italiane, a quel teatro off o indipendente che difficilmente accede alle grosse sale. È questo uno spiacevole indice del fatto che la situazione di precarietà generale e in particolare dei lavoratori dello spettacolo si sta ulteriormente diffondendo, ed è arrivata nei luoghi fino ad ora più stabili e sicuri? O è un segno positivo dell’apertura di grossi teatri di alta qualità verso le piccole produzioni indipendenti?

Potete trovare alcuni estratti dello spettacolo  sul sito del progetto:
http://www.fear-and-desire.com/IT/video.html

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