LAURA NOVELLI | Provo sempre un certo entusiasmo quando mi trovo a dover scrivere di nuova drammaturgia. In questo caso, poi, l’entusiasmo si lega a una nota di personali affetto e ammirazione visto che i tre giovani autori in oggetto, Maria Teresa Berardelli, Niccolò Matcovich e Carlotta Corradi, sono stati tutti e tre allievi dell’Officina teatrale/Cantiere di scrittura e collaudo diretto da Rodolfo di Giammarco al Belli: palestra di allenamento alla parola teatrale e alle scritture per la scena alla quale per molti anni ho collaborato con lezioni (ma preferisco dire incontri) sulla storia e la teoria della drammaturgia.
E mi è difficile dimenticare quanta passione, quanta intelligenza, quanta originalità abbiano caratterizzato l’apporto di ogni singolo frequentatore del corso e, tanto più, abbiano nutrito le fasi di scrittura via via proposte. Adesso, questi tre promettenti drammaturghi (che hanno rispettivamente 26, 23 e 32 anni) approdano al Palladium di Roma con tre opere molto diverse tra loro, tradotte in scena da altrettanti registi scelti tra personalità emblematiche della nuova scena, che rispondono ai nomi di Fabrizio Arcuri, Massimiliano Civica e Veronica Cruciani. Il progetto, intitolato “Nuove Drammaturgie in scena” e inserito nel più vasto contenitore de “La provincia in scena”, è a cura dello stesso Di Giammarco e monopolizzerà il cartellone della sala di Garbatella dal 26 febbraio al 3 marzo.
Dichiara a tal proposito il curatore: “Investiamo su tre autori, su tre testi inediti, su tre modi diversi d’essere giovani drammaturghi, su tre scritture differentissime, su tre contenuti eterogenei, su tre partiture che chiedono attori/attrici non fungibili tra loro, e, last but not least, facciamo leva su tre registi “adottatori” che mettono il loro riconosciuto professionismo (senza tracce di dna in comune) a disposizione di questo triplice cantiere di messe a punto, di messe in scena. Una formula di rodaggio che usa meccanismi linguistici nuovi con l’avallo e il confronto di teatranti non spesso impegnati a lavorare con opere prime. E si scommette anche su un pubblico interessato e interessabile, perciò interessante. I tre testi in programma mostrano un’ininfluente ma laconica e innegabile condivisione: un titolo composto da una sola parola. Sterili, Radici, Peli. Segno di tempi che sintetizzano la comunicazione, il senso, la portata di una storia o di una non-storia. Sterili di Maria Teresa Berardelli, copione che ha ottenuto il Premio Riccione Tondelli 2009, è stato scritto dall’autrice (nata come attrice) all’età di 23 anni. Cinque personaggi, un luogo d’azione che è un’inerte stazione sotterranea della metropolitana, un disamore in atto tra un lui e una lei (confortata inutilmente da un altro), un parallelo rapporto morboso e “mancato” tra due sorelle, e un concertato di frasi quasi nord-europee, è parso un materiale molto compatibile con certe strutturazioni registiche atonali e seriali di Fabrizio Arcuri, alle prese con le dinamiche dell’Accademia degli Artefatti. Radici di Niccolò Matcovich è stato ideato quando l’autore (con alcune esperienze recitative) aveva 21 anni.
Due personaggi uno di fronte all’altra, un’identità maschile e una fisionomia femminile, senza alcun appiglio didascalico o di battuta che faccia decifrare la vera natura del loro rapporto, e quella che sostengono sembra un’agnizione con permanenti segreti, misteri, allusioni irrisolte, e il loro parlare è frugale sino all’inverosimile, è impenetrabile, e si spiega l’abbinamento con un regista come Massimiliano Civica che dell’austerità e della parsimonia ha fatto le sue cifre. Peli di Carlotta Corradi è stato concepito quando l’autrice (anche regista) aveva 31 anni. Qui è in gioco un’introspettiva, anatomica questione di gender trasfigurabile e rovesciabile che detta le regole di frasi, di complicità, di stimoli, di provocazioni, di denudamenti, di slanci, di ardori, di abbandoni e di (ef)fusioni che segnano le apparenze di due amiche alle prese con una partita a carte la cui posta è intimissima, e virulenta, e altra, e in questo caso una regista come Veronica Cruciani aveva a sua volta le carte per plasmare sillaba per sillaba ed epidermide per epidermide una disputa di desideri umani senza costumi. Poi vedremo se le alchimie di autori-testi-registi creeranno esperimenti o fatti compiuti. Ma il teatro, la nuova drammaturgia, non deve mai dare certezze”.
Anzi, il teatro, tanto più se nuovo e giovane, deve avere necessariamente la forza di disarcionare pensieri ed emozioni. Deve coglierci impreparati. Deve saperci regalare una visione sempre “altra” rispetto alla realtà, sempre in fuga da ciò che appare scontato o normale. E sono quanto mai convinta che questi tre testi abbiano la capacità di farlo. Le note psicologiche della scrittura di Maria Teresa, minuziosa scandagliatrice delle relazioni interpersonali e dell’oscurità dell’animo umano diplomatasi come attrice all’Accademia Silvio D’Amico e già autrice di “Studio per un teatro clinico”, “Il paese delle ombre”, “Il signor P”, sembrano una danza dei non detti e dei sospesi atta a rivelare (forse) la verità di certi incontri (la trovate qui). Gli scarti surreali e le virate improvvise della scrittura di Niccolò, cauto artefice di linee sghembe e argute frustrate al senso comune attualmente allievo del secondo anno del corso di Drammaturgia della Paolo Grassi e già approdato sulla scena capitolina con “Grumi (memorie del cazzo)” e “L’Intruso”, somigliano a sassi silenziosi gettati nell’acqua dell’improbabile da cui si dipartono onde inattese e shoccanti (guardate questo video o quest’altro). La drammaturgia ironica, corale, ritmata, grottesca di Carlotta, sofisticata detective del mondo femminile con in repertorio titoli come “Lipstick” e “The Women” (da lei stessa adattato e tradotto dall’omonima opera di Clare Booth Luce) e con ampia esperienza come documentarista diplomata alla New York Film Academy, sembra una mappatura felicemente ariosa delle fragilità umane più comuni, passate al vaglio di una narrazione che non ha mai nulla di scontato ma che, piuttosto, capovolge l’ovvio prendendolo a suo punto di partenza (per conoscerla meglio: 12 donne / the women / carlotta corradi e www.liquida.it/carlotta-corradi/).
In definitiva, ciò che si prospetta al Palladium, complice il sostegno nevralgico e illuminato di un’istituzione pubblica come la Provincia, è un monitoraggio di sentimenti, paure, incognite, pulsioni e rivelazioni che adotta lingue e linguaggi assolutamente odierni per confermare ancora una volta – e se mai ce ne fosse ancora bisogno – che il nostro teatro pulsa di giovani talenti e di energie nuove pronte a scommettere sul valore della scrittura contemporanea per la scena. Che poi, si sa, diventa anche la scrittura del regista e degli attori. Motivo per cui viene da pensare che siano proprio questi, prima e insieme al pubblico, ad avere un urgente bisogno di nuovi autori, nuove idee, nuove sensibilità.
Per informazioni sulla rassegna: www.atcllazio.it, www.romaeuropa.net, www.pav-it.eu