MARIA FRANCESCA SACCO | Il teatro della Pantomina di Breslavia (Teatr Polski), in una Polonia ancora ghiacciata d’inverno, ha presentato l’1 e il 2 marzo due spettacoli diretti dal regista Zbigniew Szymczyk. Egli ha scelto di mettere in scena, nella stessa serata, due pièce teatrali molto diverse, celebrando, così, due autori altrettanto dissimili tra loro: Kafka e Garcia Lorca.
Uno ceco, l’altro spagnolo; uno in conflitto costante con il proprio corpo, l’altro con il proprio “io”. Uno legato all’Europa, l’altro lanciato verso l’America; Kafka muore di tubercolosi, Lorca fucilato. Erano piu’ o meno coetanei ed emtrambi si trovavano a vivere un conflitto interiore: mentre il primo non accettava il proprio corpo per le sue innumerevoli imperfezioni, il secondo si disprezzava per la sua omossessualita’. La societa’, incapace di rispondere alle loro esigenze a causa delle imposizioni rigide e castranti, alimentava il desiderio di sfuggirla. Il sogno della libertà appare in loro costante, ma sempre illusorio.
Forse, il regista polacco Zbigniew Szymczyk decide di legare le due performance proprio basandosi sull’idea comune ad entrambi gli scrittori che esistano dei pregiudizi e delle regole dalle quali è pressochè impossibile liberarsi, se non attraverso la morte.
Il primo spettacolo, tratto dall’opera Il Castello di Kafka (Polawiacze papieru, Il pescatore di carta), mostra in scena un bizzarro omino con una bombetta in testa che appare dapprima senza volto a causa della luce dietro di lui. Sembra L’uomo con la bombetta di Magritte che ha davanti al viso una colomba.
Il nostro ometto cammina instancabile, mentre egli vive la sua giornata ripetendo i soliti movimenti. La routine soffocante nella quale e’ immerso il protagonosta e’ rappresentata dalla ripetizione delle stesse mosse: sempre identica la camminata che prevede un leggero ondeggiare prima a destra, poi a sinistra, mentre l’ombrello accompagna l’azione con disinvoltura. Persino i muscoli che si tendono sono sempre i soliti: fanno uno sforzo immane, ma senza spostarlo neppure di un millimentro. Fogli, carte e protocolli, simbolo della burocrazia onnipresente, sono l’oggetto dei sogni del nostro omino con la bombetta (dalla quale non si separa fino alla fine): egli viene spogliato dei suoi abiti e lasciato solo con una camicia da notte bianca che nella nostra testa assume la forma di una camicia di forza. L’uomo e’ denudato dalla burocrazia. Scappa e combatte, ma senza risultato: verra’ annientato e la sua bombetta e i suoi abiti passeranno ad un altro che, non potra’ fuggire, a sua volta, al potere delle scartoffie burocratiche. Il regista per rendere quell’alienazione e perdita di contatto con la realta’, ha deciso di sfruttare gli espedienti del teatro dell’assurdo, eliminando ogni logica e consequenzialità nella performance. L’elemento sempre costante è, dunque, il movimento dei corpi che scivolano come se stessero camminando su dei tapis roulant: scelta che funziona quasi tutto il tempo grazie alla bravura indiscussa dell’attore che riesce a mantenere puliti e fluidi i suoi movimenti. Tuttavia, qualche inciampo in alcune scene, come quella della corsa sul posto, un cliche’ del teatro di pantomima che poteva essere evitato, insieme alle poco credibili espressioni facciali che -per fortuna rare- rischiavano di trasformare il tragico protagonista in una macchietta buffa. Interessante, invece, la scelta di mettere in scena Kafka, che odiava il proprio corpo, attraverso una rappresentazione del tutto fisica.
La Casa di Bernarda Alba, ha presentato in scena solo attrici donne (al contrario di quello precedente in cui vi erano solo uomini). La luce era fioca, solo una prigione puo’ avere questo tetro tipo di luce, e la casa di Bernarda Alba, del resto, lo è.
Le cinque figlie costrette ad indossare il lutto e a stare recluse in casa per volere della madre vedova, non smettono pero’ di sognare. L’amore e lo svago che e’ loro vietato, si manifesta con la scoperta della propria femmilita’ e sessualità nei rari momenti in cui la madre non è presente in scena. Chi cerca un bacio dentro uno specchio, chi elemosina carezze dentro una giacca da uomo. Chi, nell’aria viziata soffiata da un ventilatore scalcagnato, crede di avvertire il vento della passione amorosa. Le vie di fuga dalla realtà nella quale sono rinchiuse (ne è simbolo la finestra sempre chiusa) vengono cercate all’interno. Un’oppressione che ci arriva attraverso l’impeccabile gioco di luci e candele. Peccato non poter dire lo stesso per le attrici, alcune molto brave, come Bernarda Alba (Ewa Czekalska), ma in generale poco credibili, poco precise, troppo tendenti a voler rappresentare il proprio personaggio attarverso la mimica, piuttosto che attraverso il corpo. Queste “faccette” fanno crollare in un secondo l’anima di un personaggio e renderlo -senza possibilità di redenzione- non gia’ divertente, il che sarebbe ancora accettabile, bensì ridicolo.
Un video del Bernarda Alba
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Polawiacze papieru, Il pescatore di carta
[youtube http://www.youtube.com/watch?v=wysw_l0y7Zs]