MANFRED ZEIT | Dopo l’omonimo esordio in lo-fi: “Beach House” (2006). Dopo la magia vintage e lynchiana di “Devotion” (2007). Dopo l’exploit sognante e inarrivabile di “Teen Dream” (per chi scrive l’album migliore del 2010); i Beach House danno alle stampe il loro lavoro più classicamente Pop. Cristallizzando il loro stile, i due “sognatori della casa sulla spiaggia che si affaccia sull’oceano” abbandonano i “sogni adolescenti” e fioriscono definitivamente: è il 2013, l’anno appunto di “Bloom”, la fioritura, la consacrazione, il successo, lo spettacolo.
Il duo delle meraviglie si forma nel 2004, quando la parigina, figlia d’arte cresciuta a Philadelphia, Victoria Legrand decide di abbandonare l’École Internationale de Théâtre “Jacques Lecoq” e tornare negli States dove incontra il geologo falegname Alex Scally. I due sono accomunati dalla passione per strumenti vintage, shogaze e fiabeschi mondi filmici dal gusto desueto e onirico. Il loro sound è spudoratamente e coscientemente retrò, non cercano la sensazione i Beach House. Cercano bensì la suggestione, l’emozione, l’universalità Dream Pop. Il segreto della loro fortuna è probabilmente riposto nell’apparire semplici, quasi naif, nascondendo e facendo emergere, tra strati di tastierine antiche e slide guitar, qualcosa di “fottutamente soave” (cit. Frank, il maniaco interpretato da Dennis Hopper in “Blu Velvet” di David Lynch), di velatamente inquieto e sensualmente malinconico. Sarà la teatralità espressiva che emerge dalla voce della fata Victoria. Quel che è certo che oggi i Beach House non sono più un progetto indie di nicchia ma una delle più urgenti, originali e seducenti realtà della musica Pop internazionale di qualità! Ne è testimonianza il loro ritorno in Italia, nel corso di un lunghissimo tour, non più in location di piccole dimensioni ma in tre dei club che ospitano musica live più capienti e in vista d’Italia: il 9 Marzo all’Estragon di Bologna, il 10 Marzo 2013 al Piper di Roma, l’11 Marzo 2013 ai Magazzini Generali di Milano. Questo anche grazie alla lungimiranza e all’intelligenza di Dna Concerti.
Dopo la fascinazione avuta per “Devotion” e l’innamoramento definitivo all’uscita di “Teen Dream”, ho incontrato un concerto dei Beach House la prima volta al Primavera Sound di Barcellona nel 2010. Un incanto: sul palco “indie” dell’ATP, suonavano contemporaneamente ai gloriosi Wilco ospitati sul palco grande, eppure davanti a loro c’erano almeno 3.000 spettatori stregati e accarezzati da quel “remoto miele”. L’estate stessa li ho ritrovati a Londra, nella line-up dell’All Tomorrow’s Party curato dai Portishead – e mai benedizione fu più azzeccata: come potevano i padrini del trip hop più visionario ed enigmatico non accorgersi dei Beach House?!
A quel punto fu tristemente italico rivederli al Magnolia di Milano, tra puzza e zanzare, aprire per i tediosi Midlake – ma la serata era talmente mesta che li mi capitò di parlare a lungo con Victoria scoprendoci, nella nostra reciproca inclinazione teatrale, fan sfegatati e insospettabili (?) di Prince. E adesso chissà come sarà il loro ritorno nel Bel paese decadente e massacrato dalla vergogna post elettorale! I wish I could dream.
La loro Myth
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