ASSUNTA PETROSILLO | Sul proscenio, a sipario semiaperto, ad attendere e scrutare gli spettatori, quattro teschi in penombra adagiati su un baule carico di sogni infranti, di speranze evase. Sono i fantasmi della storia ad evocare la vicenda umana e sociale di un popolo alla deriva, in una città martoriata, violata nella sua parte più intima, segreta. La violenza quella cruda, brutale che rende gli uomini vittime e carnefici dei propri egoismi e che annienta e divora i vinti e i vincitori, è protagonista della grande e particolare storia.
In una Napoli martoriata, offesa, vituperata – come quella a noi contemporanea – due ‘mondi’ si incontrano e scontrano tra silenzi e nenie di altri tempi. È il 1799, anno della rivoluzione partenopea, il sogno di una rinascita democratica si è infranto disseminando intorno a sé solo ‘il resto di niente’.
In una sala svuotata da sedie e poltrone, una giovane donna (Sonia Seraponte) vestita di stracci si dimena, si agita chiedendosi come cucinare la prelibatezza che suo marito le aveva portato in casa per sfamare i suoi figli. La giovane lazzara è madre di quattro bambini, ‘Quatto fistole, quatt’ogne ‘ncarnate, quatto male ‘e mola’, che piangono per la fame, la miseria. Lei che parla in un napoletano arcaico, più vicino alla sua ‘vera’ essenza, è vittima e carnefice della sua stessa storia, imbruttita e invecchiata dalla violenza di un padre prima e di un marito poi che ‘Mbriaco, ‘ncazzato e ‘ngrillato, primma me scomma ‘e sanghe e po’ fa ‘e commde suoie!… E all’urdemo a tutto, a titolo ‘e cumplimento, me vommeca pure ‘ncuollo’. Una vita spezzata che la rende simile alle bestie in cattività, rude, rozza ma che nasconde nel suo sogno infantile, tutta la sua purezza di fanciulla, bambina.
Il suo nome è Janara, sinonimo di strega, è lei il vero fulcro della storia, il motore che tutto muove e tutto decide, con il solo uso della parola e dei suoi gesti, decisi, netti. Lei con quelle mani ‘da vaiassa, chiene ‘e nùreche comme a ddoie peròccole…Mane cunzumate d’’a fatica, p’’o troppo scerià panne e lenzola ‘ncopp’’e pprete d’’a funtana… Mane sfreggiate pe’ tutte ‘e vote ca m’’e sso’ pigliate a muorze… Mane ca pogneno comme ‘a raspa d’’o masterascio’ tratteggia e scandisce il tempo, le azioni. Da contraltare un gentiluomo giacobino (Luca Iervolino) alto, dall’aspetto gentile, dal linguaggio forbito, suo prigioniero.
Ed è lui la cena da cucinare, lui la vittima sacrificale della fame nera. Il giacobino cerca di spiegare alla giovane che chi ha vissuto come lui ‘evitando con estrema cura tutto ciò che di basso, di laido propone l’esistenza quotidiana, per votarsi con fede assoluta alle riflessioni alte… nella prospettiva di un mondo migliore.. in un mondo in cui la giustizia possa trionfare sulla prevaricazione… e la pace fraterna sul barbaro principio dell’”homo homini lupus”… non può finire i suoi giorni alla scapece o all’acqua pazza’.
Lui che cerca di condurre Janara attraverso discorsi filosofici sul senso della vita, della morte, del dolore e della giustizia, è destinato ad una fine inumana, bestiale. È l’incontro-scontro tra due classi sociali, tra due realtà lontane che s’incontrano nella fabula ben intrecciata nel racconto.
Il giacobino chiederà a Janara di raccontargli una storia antica che possa assopirlo per permettere alla donna di cucinarlo come meglio crede. Ed è proprio il cunto ‘e Ficuciello che trasporta i protagonisti e gli astanti in un mondo ‘altro’, rarefatto, suggestivo. Qui la forza espressiva della giovane attrice aiuta gli spettatori ad allontanarsi dalla brutalità del momento storico. Si tratta di un racconto antico che ricorda il linguaggio di Basile, arcaico, lirico. Ed è qui che la giovane attrice dà prova della sua bravura, valorizza ogni parola, e laddove il linguaggio si fa carico delle forme più antiche, sono i gesti a semplificare i significati.
Il racconto ‘e Ficuciello non aiuta il giacobino a conciliare il sonno e allora è lui a chiedere alla giovane di esprimere un suo desiderio. Ed è qui che la giovane cala giù la maschera e sogna ad occhi aperti di essere una principessa alla quale un gentiluomo di turno compie quel rito complesso de ‘il baciamano’.
Un sogno che il giovane giacobino realizza in un momento incantato, e dove lei, Janara, ‘sente’ per la prima volta ‘migliara ‘e furmicule hanno pigliato a correre ‘ncoppo e sotto pe’ cuollo a me… ‘A pelle nu mumento m’abbruciava e ‘o mumento appriesso se faceva fredda fredda cchiù d’’a neve!… E po’ …na sensazione ca m’è arrivata fino ‘ncapa, e ca nunn’avevo mai provato ‘nfino a mmo’. Nemmanco ‘a primma vota ca Salvatore m’astrignette dint’’e bbraccia’. Ad enfatizzare il magico momento le musiche eseguite dal vivo da Antonio Perna. Una lettura registica, quella di Fabio Cocifoglia, di estrema sensibilità e delicatezza, che non tradisce il testo santanelliano, ma che al contrario è fedele al significato più intrinseco della storia e dei personaggi.
Il baciamano
di Manlio Santanelli
Regia di Fabio Cocifoglia
Janara Sonia Seraponte
Giacobino Luca Iervolino
Musiche di Antonio Perna
Produzione Il Torchio
Uno degli spettacoli più belli visti al Torchio! Complimenti a tutti!!!