ALESSANDRO MASTANDREA | L’avvento, nell’orizzonte televisivo italiano, dei canali tematici e più in generale delle pay-tv ha posto – e continua a porre- domande di non facile risposta. Ci si domanda, infatti, se sia stata la nascita dei canali tematici a impoverire la TV generalista, oppure se i primi abbiano semplicemente effettuato una ricerca di forme e contenuti nuovi, oltre quei confini solitamente battuti dalle seconde.
Sia come sia, oggigiorno è impossibile negare quanto l’offerta dei palinsesti sia tutto un proliferare di nuovi canoni e format, che declinano in vario modo l’esperienza raggiunta dai reality. Il ventaglio delle nuove proposte, che anche gli squattrinati utenti della TV generalista possono apprezzare, racchiude tutto lo scibile delle umane esperienze e afflizioni. Ne sono un esempio le future spose alla disperata ricerca di, nell’ordine, un vestito, una torta, un’altra futura sposa, oppure i corsi di cucina ma anche di sopravvivenza nei quali, a seconda dell’abbisogna, è richiesta particolare abilità nel cucinare prelibate pietanze o deglutire, senza troppe storie, polposi scarafaggi o croccanti scorpioni del deserto.
In questo tourbillon di offerte, per distinguere l’una proposta dall’altra, la scelta dei nomi delle trasmissioni non può non tradire doti di guizzante fantasia. Si va dai sempreverdi “abito da sposa cercasi” e “abito per damigella cercasi”, ai più controversi “la guerra delle spose” e “grassi contro magri” (declinazione junk food del nostrano “scapoli contro ammogliati”), fino al criptico “obesi”, variazione sul tema della mai troppo rimpianta TV del dolore. Una menzione a parte va fatta per il burtoniano “Tabatha mani di forbice”.
Real Time (canale 31 del digitale terrestre), per gli squattrinati utenti di cui sopra, è forse il rappresentante più emblematico di una nuova estetica che, sembrerà strano, presenta molte affinità con la vita politica nostrana. Anzitutto, proprio come alcuni ben noti partiti, sono programmi “personali”, programmi cioè inscindibili dall’immagine della persona che li presenta, ben al di là del semplice concetto di identificazione programma-conduttore; in secondo luogo, queste star sono solitamente dei professionisti “prestati” alla televisione.
Sotto quest’ottica, non vi è dubbio che il principe di questo nuovo mood catodico sia Gordon Ramsay, personaggio che in Italia è solito frequentare i lidi mediatici sia di Real Time che di Cielo. Alla faccia del conflitto di interessi.
Chef di inveterata esperienza, Ramsay è persona incapace di risparmiarsi, disposto a offrire la propria personale opera salvifica a chiunque, disperato, ne faccia richiesta. Demiurgo del raviolo fatto a mano o del filetto al pepe rosa, la via verso la catarsi televisiva che egli propone passa – al pari di alcuni ordini monastici- attraverso il dolore e la rinunzia. Se necessario anche attraverso l’umiliazione; non la sua, naturalmente.
In questo tripudio di Ego e cucina d’autore, due sono le strade che egli propone per la scalata alla perfezione. La prima prevede che il sant’uomo si sposti di luogo in luogo per diffondere il verbo con fugaci permanenze non più lunghe di tre giorni. E’ il caso di “Hotel da incubo” e “Cucine da incubo”. In entrambe, Gordon è chiamato a imprese disperate, nel tentativo di risollevare le sorti di Hotel e Ristoranti sull’orlo del fallimento. Il lieto fine, la catarsi, è sempre garantito. Non prima però di aver sottoposto gli sfortunati proprietari all’estenuante fuoco di fila delle sue critiche. E in perfetto stile anglosassone, ama infierire preferibilmente su coloro che, pur nel disastro, dimostrano una certa alterigia; sebbene nei casi umani più problematici – questo gli va riconosciuto – dimostri doti di delicatezza inaspettate. Tuttavia, negli altri casi, non va certo per il sottile e nell’escalation dei suoi commenti la metafora non è mai contemplata: “Non sentite che puzza?”; “E’ un pastone insipido”; “E’ una schifezza calda”; “Ci hanno pisciato sopra?”.
Eppure, sembrerà paradossale, dopo il “trattamento Ramsay” i fortunati proprietari non possono fare a meno di ringraziare. La salvezza di un’attività, cui sono legati i destini di più di una famiglia, val bene qualche insulto, così come li vale una possibile carriera da chef di grido. O almeno è quel che sperano i concorrenti di Masterchef USA e Hell’s Kitchen, le due trasmissioni che hanno spostato decisamente in avanti l’asticella della rappresentazione televisiva del cucinare, e anche la seconda delle suddette strade per la perfezione.
Immaginate di fondere assieme il talent show più crudele con La prova del cuoco , davanti ai vostri occhi non potrà non spalancarsi l’abisso. Un girone infernale, in cui i concorrenti sono stretti tra le fiamme dei fornelli e quelle ancor più calde dei giudizi del giudice fustigatore. Poiché “molti sono i chiamati ma pochi gli eletti”, solamente una manciata di concorrenti può aspirare ad arrivare alla fine del percorso, non prima però di aver ripetuto come un mantra le parole “Si, chef. Certo, chef. Grazie Chef”.
A Gordon Ramsay va dunque il merito di aver dato un taglio nuovo e inquietante alla cucina in TV, un nuovo tipo di esperienza, tuttavia già superata dal successo di Master Chef Italia. “Nuovi mostri” si stagliano all’orizzonte, ma di questo avremo modo di parlare prossimamente.
Gordon Ramsay racconta il format di Hell’s Kitchen
[youtube http://www.youtube.com/watch?v=CZfRWvDbBW8]
Cucine da Incubo USA
[youtube http://www.youtube.com/watch?v=bwQ7f-KYGYc]
Hotel da incubo
[youtube http://www.youtube.com/watch?v=f5hEWOFcxCA]