MARIA CRISTINA SERRA | Ci sono musei in cui si ritorna sempre, provando l’emozione e lo stupore della prima volta. Si rivive il piacere di tornare su luoghi già vissuti, senza però lo spaesamento iniziale, con lentezza, accantonata l’ansia di consumare in fretta le meraviglie esposte, con lo stato d’animo di scoprirne di nuove. Il Louvre è una di quelle “cattedrali dell’arte” che dentro l’eterna brillantezza dei suoi saloni nasconde sorprendenti angoli inosservati, opere dimenticate sotto l’immobile bellezza. Ci riserva sorprese, puntando i riflettori su “icone” del passato, per rinnovare la loro immensità sul palcoscenico dell’attualità.
E’ successo con la mostra “Gli ultimi anni di Raffaello”, che ha donato luce nuova alla perfezione del grande cantore del Rinascimento, mostrando la grazia dei suoi ritratti, tanto da sfiorare la seta e il damasco della sua “Donna Velata” e stregarci con la complicità del “Doppio Ritratto”, insieme al suo allievo Giulio Romano. Dopo la quiete della classicità, si è imboccata una strada visionaria per unire il mondo dei vivi a quello dei defunti.
Con il dissacrante “I fantasmi del Louvre” si sono dipanate trame oscure, per spingersi oltre i limiti dell’inspiegabile, nelle fascinazioni del terrore. Si sono evocati gli spettri, ci si è affidati alla geniale creatività di Enki Bilal per raccontare i sotterranei inaccessibili e i misteri di un Palazzo che, nei secoli passati, era stata la dimora di re e regine, aveva ospitato intrighi e lotte per il potere, amori proibiti e odi mortali. Si è affrontato l’occulto, ciò che è sfuggente alla ragione, là dove gli argini della realtà si uniscono ai sogni e si nutrono degli incubi, lasciando che l’incertezza prenda il sopravvento, senza rivelarci il sottile confine fra il bene e il male, fra visibile e invisibile.
Si è familiarizzato con presenze soprannaturali, con spiriti che disegnano l’aria e assumono trasparenti forme umane. I fantasmi sono riemersi dal lungo sonno e sono apparsi accanto a capolavori di ogni tempo, per sussurrare la loro verità e la raccapricciante fine della loro esistenza, svelando storie parallele a quelle ”ufficiali”. Ricevuta carta bianca da Henri Loyrette, direttore del museo, Enki Bilal, disegnatore, fumettista, pittore, regista, sempre pronto a sfide pirotecniche, si è raccolto nel silenzio dei saloni deserti, immersi nella penombra, nei giorni di chiusura, seguendo tracce evanescenti, echi tenebrosi. ”Alla ricerca”, spiega l’autore, “d’inamovibili testimoni del tempo, nascosti in ogni angolo del museo, in ogni frammento delle opere, nelle fessure dei muri, nell’aria che soffiava dagli spifferi, nelle ombre che si intravedevano sui soffitti”.
Ne è nato un libro avvincente e magnetico, “Les fantomes du Louvre” (Futuropolis ed., 29 E) e una collaborazione intrigante tra il museo e l’artista, che negli anni ha riscritto i codici linguistici del fumetto, elevandoli a poesia. I suoi pannelli sono stati esposti nel Salone dei Sette Camini, vicino alla Gioconda e alla Nike di Samotracia, a ricordare che i confini sono sempre sottili nell’arte e le contaminazioni ci insegnano a meglio “vedere”.
Bilal ha selezionato 22 fotografie, fra le 400 scattate, di opere immortali e, dopo averle stampate su tela, vi ha disegnato figure spettrali, colte nell’attimo del dolore, del terrore e dello stupore per la morte imminente. ”Ho ridipinto il mio sguardo sull’opera e riscritto la vita degli altri, uomini e donne morti in modo violento, una condizione necessaria per diventare fantasmi. Le loro drammatiche biografie, a volte ricalcano la verità storica, altre invece se ne distaccano”. Volano con le ali della fantasia, viaggiano nel tempo e nei labirinti del pensiero, narrano le angosce del presente e il senso di estraneità.
Sono esseri in preda alla dannazione, in cerca del filo spezzato dell’esistenza come i suoi personaggi abituali, con un tocco sofisticato di humour noir ad alleggerire la tensione.
Bilal è un artista che ama l’ avventura, fin dall’esordio negli anni ’70 nella prestigiosa rivista Pilate, che segnò una svolta epocale nella “bande dessinèe” proseguita con la pubblicazione di opere “rivoluzionarie” (“La Falange dell’Ordine Nero”, “Fiera degli immortali”, “Trilogia di Nikopel”, “Tetralogia del Mostro”). Le sue complesse architetture grafiche, virate al dark, visionarie interpretazioni della conflittualità del nostro presente e dei sentimenti oscuri dell’animo umano, lo hanno collocato nell’Olimpo del Fumetto, rappresentante di un realismo lucido, ma mai pessimista.
La sua narrazione procede attraverso la fascinazione per il “doppio”, perché “nulla è vero e niente è reale”, sullo sfondo di una memoria collettiva che proietta nel futuro destini e identità da ricomporre. I suoi protagonisti si muovono in un universo in preda al caos: esseri in fuga dentro un mondo che ha smarrito la coscienza. Sono sovrastati dall’ombra della violenza e della corruzione, e dal rischio di una manipolazione della realtà sempre possibile. E’ un’umanità spaesata in cerca di sé e dell’innocenza smarrita. Filtra tra le righe l’immaginario di Bilal: radici bosniache e croate, educazione francese. I tratti di china sono forti, carichi di densità emotiva, di dettagli definiti con pienezza pittorica espressionista e atmosfere avvolgenti. Fra cattedrali arrugginite, cieli di piombo, scorci blu notte si aggirano i suoi eroi errabondi. I suoi spettri, invece, rimarranno per sempre al Louvre.
“La Gioconda” a misurasi con lo sguardo livido di Antonio di Aquila, l’amante di Leonardo. La “Giovane orfana al cimitero” di Delacroix, con sguardo perso, abbracciata a Lantelme Fouache. Albrecht Durer sovrastato dal biancore di Melancolie Hrasny. La testa mozza di un mercenario appesa all’ingiù sopra il ”Bue squartato” di Rembrandt. “La contessa del Carpio “ di Goya insieme ai gemelli con occhi di ghiaccio, che ricordano i bambini “diabolici” in “Giro di vite” di Henry James. “Paolo e Francesca “di Scheffer divisi per sempre da un’altra anima perduta. “San Luigi “di El Greco con Analia Avellaneda, miscelatrice di colori uccisa dai veleni e dal suo talento.
“Voi sapete che io non credo ai fantasmi”, dice Bilal, “ma a questi qua ci credo”.
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