Rane-Teatro dueRENZO FRANCABANDERA | Proporre una commedia classica a teatro è sempre un azzardo, perchè, anche quando riletta attraverso uno sguardo attuale, c’è sempre rischio di disallineamento fra aspettative del pubblico, proposta dell’artista e i registri linguistici coinvolti.

Vediamo dunque come è andata con la storica compagnia di Teatro Due di Parma e la rilettura de Le Rane, interpretata e diretta da Roberto Abbati, Paolo Bocelli, Cristina Cattellani, Laura Cleri, Gigi Dall’Aglio, Luca Nucera,Tania Rocchetta, Marcello Vazzoler per una produzione della Fondazione Teatro Due, in questi giorni per le ultime repliche al Teatro dell’Elfo di Milano, che ospita di nuovo questo gruppo di attori dopo il successo l’anno passato de l’Istruttoria.

Entriamo allora nello schema classico e nella rilettura che ne fa la compagnia. Di tutta la plausibile produzione classica a noi è giusto per intero solo qualcosa di Aristofane. Perché? La mia convinzione è che la risata sia più difficile della lacrima. Necessita di contemporaneità fra pensiero scenico e dinamica di pubblico. E così nei secoli quello che non aveva davvero caratura di valore assoluto si è perso. Alcune cose legate nei testi a riferimenti coevi dei drammaturghi, inevitabilmente si perdono, vanno riletti, e queste riletture sono spesso sgraziate, fuori nota. Come noto, poi, la commedia in origine veniva rappresentata solo in occasione delle feste dionisiache, e fu riconosciuta come forma superiore d’arte dopo la tragedia, di cui ricalcò parte della struttura, con un rilievo particolare all’agone in cui due avversari si fronteggiano, in parti fisse simili a quelle della paràbasis. Caratteristiche che fanno del genere comico un genere soggetto a rapido invecchiamento.

L’ensemble di attori di Teatro Due affronta con la rilettura di questo classico la cruciale questione del ruolo politico della cultura, dell’arte, della poesia e del teatro nella società civile. La scena minimal-geometrica di Alberto Favretto ben illuminata da Luca Bronzo è povera, la palude una circonferenza limitata da un segno rosso, sul fondo una linea blu a demarcare forse il confine fra mondo dei vivi e quello dei morti. Il tono, anche nei costumi, è quello di un cabaret brechtiano. Le musiche un pout-pourri capace di donare leggerezza (divertente il Maramao con le rane che cantano in coro brekekekex koax koax, anche se non siamo certi la citazione letterale possa esser stata agevolmente colta).

Senza entrare troppo nel dettaglio della meccanica dello spettacolo e in quello che riesce più o meno (proprio in ragione di quanto sopra si diceva, ad esempio, l’attualizzazione della parte di battute e riflessioni sull’Italia oggi a mezzo del gigantesco megafono è tagliente e riuscita, più “vecchie” risultano di conseguenza alcune gag del testo originale come l’incontro con Eaco e la parte dello scambio di vesti con Xantia, che poteva essere espunta senza rimpianto) il contest poetico fra Euripide ed Eschilo, proposto sotto forma di vere e proprie “elezioni primarie” al pubblico, diventa il momento capace di diventare via via più alto, fino all’immaginifico finale, con una serie di frammenti di teatro nel teatro prima, seguiti dal deragliamento completo da Aristofane verso il contemporaneo che segue.

Alla fine risulta nel complesso chiara l’operazione del gruppo Teatro Due con questa proposta che, pur tradizionale nel linguaggio scenico, riflette da un lato sulla immaterialità della cultura e la sua leggerezza, capace di levare in alto lo spirito umano, e dall’altro sulla necessità che la produzione culturale arrivi all’interno di un consesso sociale che ne riconosca il valore assoluto e la favorisca, per cercare i nostri Eschilo e Euripide, evitando magari che debbano andare all’estero, o soffocare nella palude di ignavia di una classe dirigente incapace.

E ora il nostro videoreport.

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