PARIS-ART-FAIR_Dimitri-Tsykalov_cuore1MARIA CRISTINA SERRA | L’arte riempie la vita di significati, incrocia le parole della nostra contemporaneità, ci rammenta che siamo fatti della stessa materia dei sogni. “L’arte è ciò che rende la vita più interessante dell’Arte”, dice Guillaume Piens, Commissario generale della 15° edizione di “Art Paris” al suo secondo mandato, determinato a seguire la rotta verso un “cosmopolitismo regionalista” in una visione dell’arte non spettacolare e fine a se stessa né “mondialista”, condizionata dalle mode e dalla finanza, ma capace di rappresentare autenticamente tutti i sentimenti umani nella loro universalità.
“Vogliamo fare di tutto perché l’arte diventi sempre più democratica e possa svolgere un reale impegno pedagogico”, precisa Piens, spiegando la sua filosofia di privilegiare le gallerie d’autore e quelle meno conosciute, che operano scelte culturali, restie a partecipare alle fiere, ma rappresentative delle molteplicità e mutazioni delle realtà locali e fissare quei frammenti di eternità nel fluire del tempo. ”Si vive ormai in una situazione globalizzata unificata, ci sono oggi autostrade dell’arte che seguono le medesime vie. Io voglio invece esplorare nuovi territori, donare una chance ad una nuova generazione per esprimersi”. Nei giorni in cui la morsa della crisi travolge vite, orizzonti e speranze, il lavoro si volatilizza, si intrecciano rabbia e disillusioni e si tacciano le proteste con lo spettro del populismo, nel mondo dell’arte, come sempre, si continua a produrre e a progettare.
In un clima di incertezza, gli artisti si fanno interpreti delle lacerazioni, costruiscono linguaggi, riempiono di segnali i vuoti del silenzio che le parole non riescono a raccontare.
“Ho bisogno dell’arte per avere un’eco del mondo, una risposta alle mie domande personali. Niente a che vedere con la decorazione o la posizione sociale”, spiega Piens, ed era la sensazione latente tra gli stand allestiti nello spazio luminoso, solenne e maestoso del Grand Palais, seguendo un percorso infinito di stimoli, suggestioni, colori ed emozioni. Più un museo fantasmagorico dei desideri, che una mostra-mercato. Una Fiera che si sta “reinventando” alla ricerca di una verginità perduta, lasciandosi alle spalle le sovrabbondanti sofisticazioni e gli artifici di un’arte sempre più “industrializzata”, intenzionata a ritagliarsi un suo ruolo forte e decifrabile nel panorama internazionale.
“Né un’anti-FIAC né il suo doppione, ma uno spazio complementare e inconfondibile, con un occhio puntato verso l’Europa centrale ed orientale, il Medio Oriente e l’Asia”.
E poi la novità delle tre aree dedicate all’Artdesign, agli Artbooks e alle Promesse.
Sono giorni di bilanci per l’expo parigina, che ha chiuso i battenti il Primo Aprile e che già si sta preparando alla sfida del 2014 con la Cina protagonista. Parigi ha riunito 144 gallerie, provenienti da 20 paesi, e oltre mille artisti sotto le cupole trasparenti, sorrette dalle strutture in ghisa Art Nouveau del Grand Palais, in una scenografia mozzafiato, che regalava giochi di luce di grande suggestione. Ospite d’onore è stata la Russia con 11 gallerie provenienti da Mosca, San Pietroburgo, Vladivostok, Rostov e con una novantina di artisti dell’Europa dell’Est.
Il lavoro preparatorio è stato minuzioso, supportato da un esigente Comitato selezionatore. Si è creato un ponte ideale, fuori da stereotipi, per cercare un’empatia fra differenti tradizioni e rappresentare dialetticamente tematiche di un sentire comune: la memoria, il senso dell’essere, l’identità. ”Mi piace il pathos russo: in Russia non c’è niente di semplice”, dice Piens, ”la storia del paese è molto violenta e tracce di questa violenza si possono trovare ancora oggi, così come la cultura della metafora, l’ironia, l’idea dell’assurdità dell’esistenza”. Le isole di creatività, separate da bianchi pannelli erano riunite in un articolato arcipelago: dai precursori dell’arte moderna a quelle avanguardie russe del XX° secolo, che avevano elevato le loro fantasie strutturali di purezza ingegneristica con azzardate parabole e creato piattaforme di realtà con fulminee materializzazioni di luce, per arrivare alle complesse forme odierne dell’espressività.
Tensioni evolutive, istanze di libertà e pulsioni dell’animo, che qua e là si rincorrono, tra discordanze e accordi, seguendo idealmente la colorata scia fiammeggiante tra astrazione e figurazione di Phillip Malyavin, artista che fuse la tradizione popolare favolistica russa con i codici della rivoluzione. Il rigore geometrico e la sensibilità plastica di Igor Makarevich e del suo “Pinocchio” ricordano il Suprematismo del periodo colorato di Malevic. Le spesse pennellate di Alexej von Jawlensky rivelano il complesso rapporto tra avanguardie ed espressionismo. Si ispira alle forze arcaiche dello Sciamanesimo Dimitri Tsykalov con la sua scultura “Heart”, impastata di terra e rami secchi, un cuore che sembra battere per le ferite del corpo sociale. “I believe in Angels” di Dmitry Shorin ha la perfezione della classicità. Le sue donne-angelo scolpite in lucida resina bianca, con ali tecnologiche, rievocano il mito di Icaro e paiono ispirate all’ideale di bellezza apollinea delle struggenti liriche di Anna Achmatova. C’è tutta la tradizione russa del realismo dinamico di Deineka , il movimento, le diagonali di Rodchenko nell’estetica minimalista sulla violenza urbana disegnata da Alexei Kallima. Le asperità odierne della società russa schizzano dalle dissacranti foto bianco/nere di Nikolay Bakharev. L’occhio onirico dell’estone Alexander Gronsky catturano bellissimi paesaggi imbiancati dalla spazialità infinita. La fredda luce del Nord rende labili il confine fra città e natura, sospendendolo in una sinfonia di solitudine.
Straordinari gli artisti ungheresi: Simon Hantai, creatore del “pliage”, riempie di silenzio le sue tele astratte; Judit Reigl raccoglie il “Guano” delle colature di colore e lo ricompone di lucenti fusioni in spazi senza vuoto né tempo. Tanti gli astri nascenti: Kyung-Ae Hur con la leggerezza della ragione dipinge filigrane di gioia verticali; Marie Hendriks costruisce un universo barocco fra stratificazioni antiche e rievocazioni pop; Mat Collishaw materializza i baudlairiani “Fleurs du mal” in illusioni del presente; Sonya Suhariyan compone visioni passionali e arabescate di geometrie floreali e figure simboliche di vitale lucentezza; Sabine Pigalle riscrive nelle sue foto l’arte del ritratto antico. Con piccole preziose opere, Paul Klee, Paul Delvaux e Max Ernst esprimono l’augurio di buon viaggio verso il cammino dell’arte, che conduce sempre lontano.

Ecco un video su Art Paris
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