ANTONELLA POLI | “Non conosco altro balletto in cui la danza sia capace di regalare in maniera così perfetta l’illusione di una narrazione drammatica…La danza non è un esercizio acrobatico, ma è del tutto espressivo: l’azione si traduce unicamente in gesti danzati e acquisisce una forza, un’intensità d’emozione raramente ineguagliabili”, così scrive Serge Lifar nel 1942 a proposito di Giselle.
E il maestro russo non avrebbe potuto esprimersi meglio a riguardo, dato che questo balletto rappresenta ancora oggi una pietra miliare del balletto classico per diversi motivi.
Uno dei più importanti è senz’altro legato al fatto che l’argomento del balletto trova le sue radici in alcuni esempi della letteratura romantica. Il testo base è senz’altro un articolo di Heine apparso nel 1833 nel giornale l’Europe Litté, in cui lo scrittore tedesco si soffermava nel ricordare come gli uomini, al pari dei loro antenati, erano in un certo senso ancora rimasti attaccati ai valori più agresti, alla natura con tutti i suoi elementi primari: le pietre, gli alberi, la terra. E poco più avanti faceva riferimento ad una leggenda austriaca con origini slave: la storia delle Willi, danzatrici notturne, tutte fidanzate, che erano morte però il giorno prima delle loro nozze. Nemmeno nelle loro tombe potevano trovare pace, il loro desiderio di ballare, il loro amore per il ballo le spingeva ad uscire dalle tombe di notte e poveri i giovani che incontravano, venivano costretti a ballare sino alla morte.
Ma il fatto che le giovani venivano private della loro gioia di vivere in modo prematuro, riconduce ad un bel poema di Goethe, La fiancé de Corinthe, la cui storia ha origine nella mitologia greca. Ma si può anche far riferimento a un’opera di Victor Hugo intitolata Fantomes (Les Orientales, 1828), che racconta la storia di una fanciulla spagnola che muore a causa della sua passione eccessiva per la danza. Si crede infatti che proprio il suo primo verso, “Ella amva troppo il ballo e questo è quello che l’ha uccisa”, insieme all’articolo di Heine di cui abbiamo già parlato, abbiano ispirato il poeta francese Théophile Gautier alla creazione del balletto; per questo la sua paternità è rimasta intatta nel corso dei secoli.
Tuttavia, anche il tema dell’amore che rivive al di là della morte è antico. Un esempio fra tutti ci viene dal mito di Orfeo e Euridice; un’ulteriore testimonianza che, nel corso dei secoli, il tema dell’amore legato a quella della morte sono stati senza dubbio al centro degli interrogativi umani sui propri sentimenti e sulle proprie emozioni. Si tratta quindi di un archetipo, ed è anche per questo che il balletto conserva tuttora il suo fascino.
Soprattutto grazie anche alla sua tensione drammatica che si mantiene inalterata dall’inizio alla fine nel corso dei due atti; la musica di Adam accompagna dolcemente la triste storia ed è perfettamente calibrata con la coreografia e con lo svolgersi della trama stessa.
Un perfetto equilibrio quindi, in cui la coreografia presenta come elemento predominante ed emblematico la figura dell’arabesque, simbolo in tutto il balletto dell’immaterialità, che fa apparire Giselle in tutto il suo essere “spirito”, senza peso, e libera di fluttuare così nelle braccia del principe Albrecht. L’arabesque caratterizza la figura delle Willi, la sua corporeità eterea: come non ricordare qui l’avanzare meraviglioso del secondo atto in cui gli spiriti bianchi, incrociandosi, glissano via via sul palcoscenico inanellando l’una dopo l’altra una serie di arabesques. E dalla stessa arabesque “le anime danzanti” traggono lo slancio vitale per staccarsi dal suolo nelle sequenze di sisonne fermé in diagonale e di grand jeté.
Inoltre questo dell’immaterialità, è un altro carattere legato alla “leggerezza”, altra categoria che tanto piaceva all’estetica romantica, non per sfidare banalmente la materialità tipica dell’essere umano, ma per riuscire a penetrare di più e mettere in evidenza l’aspetto più spirituale dell’animo umano, anelito rappresentato in scena ricorrendo talvolta a personaggi o espedienti fantastici.
Nei teatri si adottarono dei mezzi tecnici, sorprendenti per l’epoca, proprio per cercare di riprodurre quest’atmosfera in cui le danzatrici sembravano volare grazie a degli appositi macchinari, e il palcoscenico era reso etereo e misterioso grazie a dei gas che venivano sparsi in scena.
La Sylphide, « le ballet blanc » per eccellenza è stato senz’altro il primo e ha segnato in un certo senso le successive produzioni ballettistiche in cui il senso dell’immaterialità divenne caratteristica peculiare incarnandone anche l’ideale romantico. Inoltre attraverso la danza, si riusciva così a superare la dicotomia “religiosa” tra spirito e corpo, questa rottura che trovava il suo sugello nella realizzazione del desiderio amoroso. La creazione coreografica trovava, dunque, una propria vocazione, che le attribuiva anche in un certo senso la sua finalità. E di tutto ciò sempre lo stesso Gautier ne fu fermamente convinto, anche perché trovò nella danzatrice Carlotta Grisi la sua musa ispiratrice. Sia chiaro che in ogni caso sarebbe un errore pensare che la fonte originaria di Giselle sia stata anche la Sylphide, benché i temi in comune siano parecchi. Sulle fonti del balletto ne abbiamo già discusso. E veniamo alla Giselle, ripresa da Yvette Chauviré e messa in scena al Teatro alla Scala di Milano a partire dal 26 Aprile. La coppia oramai consolidata Zakharova-Bolle ha ancora una volta mostrato tutta la loro perfezione, sia tecnica che artistica. I due danzatori fanno oramai coppia fissa nel teatro scaligero e questo permette loro di danzare all’unisono, e di interpretare i personaggi del balletto classico con grande maestria. La bellezza dei gesti splende sul palcoscenico, la loro sintonia fa vivere realmente la storia d’amore e di tradimento tra Giselle e Albrecht. Il corpo della Zakharova scompare nell’esecuzione delle infinite arabesques, Roberto Bolle l’accompagna, con tutta la sua sensibilità e la padronanza del ruolo. Ma il successo di questa ripresa lo si deve anche agli altri protagonisti, alcuni più noti altri meno. Mick Zeni, garantisce con tutta la sua teatralità, la riuscita del personaggio di Hilarion, la giovane Vittoria Valerio con il primo ballerino Antonino Sutera danno vita a un bel pas des deux nel primo atto, perfetti nella loro variazione. Virna Toppi é Myrtha, la regina delle Willi. La ballerina, che ricordiamo fa ancora parte del Corpo di Ballo e che aveva esordito nel personaggio di Raymonda nel mese di ottobre 2012, conferma di avere buone qualità, anche se nei primi momenti in scena esita, apparendo quasi intimorita dal ruolo che veste. Questo lo si nota soprattutto nell’esecuzione di quella quinta serré pointé; ma in seguito si riprende ammirandola nella serie dei grand jeté e nella capacità di affermare tutto il suo potere sulle Willi. Quest’anno nel ruolo di Giselle, si alterneranno Petra Conti e l’esordiente Lusymay Di Stefano, promesse del Teatro alla Scala.
A più di un secolo e mezzo dalla sua prima rappresentazione Giselle, si conferma ancor oggi un balletto che va al di là di tutte le epoche, apparendo sempre in tutta la sua freschezza e la sua tragedia del primo atto cosí come in tutta la sua allure fantastica e spirituale del secondo. La figura femminile di Giselle incarna la donna fragile e innamorata ma nello stesso tempo forte, capace di salvare il suo amante dalla morte imponendosi sull’autorità di Mirtha. Questa puó essere una delle chiavi di lettura moderna di questo “classico” che già in passato era stato ripreso da Mats Ek o da Sylvie Guillem. Jean Coralli e Jules Perrot primi coreografi di quest’opera non avrebbero forse mai immaginato che la loro Giselle avebbe potuto sopravvivere cosi per tanto tempo. La magia delle “anime bianche” ferite nel loro sentimento d’amore si perpetua nel tempo, come se i loro spiriti, continuassero veramente a danzare in eterno, indomiti di fronte al loro dramma d’amore.
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http://www.teatroallascala.org/it/stagione/opera-balletto/2012-2013/giselle_cnt_21246.html http://www.teatroallascala.org/it/stagione/opera-balletto/2012-2013/giselle_cnt_21246_video_1.html
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