MARAT | A parte le marchette. Che quelle sono altra cosa. Ci sono due categorie di critiche che mi danno noia: le logorroiche e i riassuntini (para)scolastici. Le prime sono lo sfogo verbale di un ego smisurato o minuscolo, a seconda dei casi. È vizio tipico del web. E ti rintrona talmente che rimpiangi le battute contate ai decimali dei quotidiani cartacei. Le logiche redazionali. Quelle che ti bruciano una recensione per presentare il musical al Teatro della Luna. Cose così. Eppure quasi le preferisci. Del tipo: mi sveglio, alzo un po’ la tapparella per fare entrare un filo di luce, getto un occhio alle piante sul balcone e mi preparo il caffè. Fino a qui tutto bene. Ma si sa, il problema non è la caduta ma l’atterraggio. Ovvero la lettura di siti e giornali.
Così segui speranzoso il link di una recensione e improvvisamente ti ritrovi in un mondo logorroico, che neanche certe ragazze al primo appuntamento. E non cambia nulla che si parli di Peter Brook o della filodrammatica di Corsico. Sempre dovrai fare i conti con un post lungo così. Dove i riferimenti muovono da Wittgenstein ai manga giapponesi, gettano lì un film visto in solitaria insieme a Enrico Ghezzi, si riallacciano a un’installazione d’arte contemporanea incrociata a Bucarest da sbronzi, concludono citando band indie rigorosamente sotto le 1000 copie. Che altrimenti si sono venduti al mercato.
Io arrivo alla quinta riga. Poi passo al video del vichingo che balla nudo in un rave. O ai cartacei. Dove hanno la gentilezza di utilizzare tre quarti dello spazio per raccontarmi la trama di Amleto. O chi per lui. Che sai, magari questa volta finisce bene. Come quando ti capita di rivedere la finale di Istanbul, fra Milan e Liverpool. Ma Sheva spara sempre contro il portiere a porta vuota. E Lara non si gira mai in tempo per riveder Zivago.
Però nei riassuntini scopri meraviglie. Come poco tempo fa, dove leggo che Giorni felici è un inno alla vita. Merdre!, non avevo capito niente. Non avevo capito che Godot è un’incompresa festa in costume o che l’Elvira di Fassbinder in realtà è una felice drag dell’underground tedesco, cui il finale non rende giustizia. E Sarah Kane? Un’entusiasta narratrice dalla luminosa scrittura. Non si finisce mai di imparare.
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