torino glbtEDGARDO BELLINI | C’è sempre qualcosa di memorabile nella programmazione Torino GLBT Film Festival, che nel 2013 festeggia i suoi ventotto anni di attività con un nuovo, robusto incremento di spettatori. L’occasione di confronto fra punti di vista lontani – una ricchezza di sguardi e di voci che gli organizzatori curano con attenzione – racconta un’immagine sempre inedita del mondo e delle vicende umane; e una stessa storia d’amore, di crescita, di ribellione, promuove valori e significati che appaiono diversi in virtù della moltiplicazione dei contesti e delle culture.

Circa centoventi film, distribuiti in quattordici sezioni, restituiscono un affresco composito e problematico sulla “questione” omosessuale e transessuale nei diversi territori del pianeta, con una ricchezza di temi e di sfumature che è decisamente eccezionale ritrovare all’interno di un’unica rassegna di cinema. Il direttore Giovanni Minerba – nel 1986 creò il festival assieme al regista e compagno Ottavio Mai – rivendica il carattere culturale e politico della rassegna, che coltiva l’aspirazione alla libertà e all’espansione dei diritti. Cita la ministra francese Christine Taubira nel momento della recente approvazione della legge che estende il matrimonio e l’adozione alle coppie dello stesso sesso: «Noi siamo fieri di ciò che facciamo, l’atto che ci accingiamo a realizzare è bello come una rosa di cui la torre Eiffel, assediata, all’alba vede infine sbocciare i petali».

La sezione forse più “politica” è quella che porta il rivendicativo titolo «We are family», concentrata sui temi del riconoscimento civile e giuridico della coppia omosessuale, della genitorialità, della convivenza. Ed è faticoso, per noi spettatori italiani, rinnovare la consapevolezza che in materia di diritti civili il nostro Paese si trova un paio di gradini più in basso rispetto a tutto il resto d’Europa, alla quasi totalità dei paesi occidentali, e – da qualche anno – anche a una parte dell’America Latina. I film italiani di questa sezione, Vorrei ma non posso e i corti Uguali ma diversi e Regina bianca, presentano coppie gay e lesbiche che vorrebbero unirsi in matrimonio e godere delle tutele giuridiche saldamente garantite altrove, mentre devono ancora oggi accontentarsi di piccoli rituali simbolici. Ben più avanzata la prospettiva sviluppata in altri Paesi: i film francesi – Mon arbre, Histoire belge –, isreaeliani – Inyan shal min –, canadesi – The committment –, spagnoli – Right2love – raccontano piuttosto del desiderio di paternità e maternità, della possibilità di allevare figli, di espandere alla luce della modernità la nozione inerziale e ideologica di “famiglia tradizionale”; ed è significativo che in questi film i colori della narrazione siano a volte leggeri e brillanti, disimpegnati da quel doloroso misto di frustrazione e avvilimento che spesso pervade la cinematografia nostrana a tematica GLBT.

Di grande valore civile e conoscitivo il focus della «Mezzaluna rosa», una sezione di film e documentari sulla condizione delle persone omosessuali e transessuali in alcuni paesi islamici, che rivelano – per lo più attraverso storie ed avventimenti personali – situazioni e scenari culturali poco conosciuti allo spettatore occidentale. L’eloquente e coraggioso reportage Chuppan chupai (“Nascondino”), ambientato in Pakistan, porta sullo schermo quattro vicende umane aspre e conflittuali, ma anche la forza della rivendicazione politica e civile, dell’aspirazione alla serenità. Forte e diretto anche il documentario I am gay and muslim, un viaggio del regista olandese Chris Belloni attraverso il Marocco, in cui emergono situazioni personali di grande spiritualità, alla ricerca di un equilibrio difficile fra sentimento umano e devozione religiosa, senza troppa nostalgia per l’occidente. Singolare la vicenda della pellicola Out loud, primo film libanese a tematica gay, intriso di slanci e utopie, sogni di libertà e speranze d’un mondo migliore, sulla scia della Primavera araba. Durante le riprese del film, il regista Samer Daboul ha incontrato non poche difficoltà – per via dell’argomento trattato – fra interruzioni, furti e insulti; al punto che ha deciso di realizzare un documentario sulla produzione del film stesso, che è diventato così una testimonianza diretta della faticosa situazione della comunità GLBT nel Paese.

0Veniamo alla competizione e ai riconoscimenti. La giuria formata da Lidia Ravera, Vladimir Luxuria, Diego Dalla Palma, Travis Fine, Federico Boni, ha assegnato il premio «Ottavio Mai» per il miglior lungometraggio al film tedesco/olandese Boven is het stil (“Di sopra c’è silenzio”) del regista olandese Nanouk Leopold, un’intensa storia di solitudine e di affetti mancati; «per l’elevato livello recitativo degli interpreti, per la crudezza poetica, per la fotografia livida e carnale» scrivono i giurati nelle motivazioni del premio. Fra i documentari la giuria composta da Basil Khalil, Nina Palmieri e Piergiorgio Paterlini ha premiato The love part of this di Lya Guerra, poetica biografia che ripercorre a partire dagli anni Settanta la storia d’amore di due donne, dei loro figli, e del loro avventuroso viaggio attraverso gli Stati Uniti; e una menzione speciale va al reportage Born this way, una raccolta di testimonianze d’amore e di persecuzione, di disagio e di speranza, ambientato in Camerun. Fra i cortometraggi vince lo struggente Bunny, storia di un coniglio di pezza che lega alla vita un uomo anziano e malato, e il suo compagno. Infine nella sezione «Queer award» viene premiato il lungometraggio cileno Joven & Alocada, breve saggio di educazione sentimentale ai tempi del blog, intriso d’ironia e senso di libertà.

Fra gli altri lavori presentati in questo festival vale la pena di citare lo splendido film polacco W imie (“In nome di”) che affronta i turbamenti di un giovane sacerdote di campagna che s’innamora di uno dei ragazzi problematici affidati alla sua tutela; un’eccellente narrazione silenziosa e allusiva, ricca di sguardi obliqui sulla vicenda, con una tessitura narrativa distesa che ricorda vagamente la poetica inquieta di Kieslowskij. Fuori programmazione è stato presentato il film israeliano Yossi, sequel del fortunato Yossi & Jagger del 2002, con un superbo Ohad Knoller nei panni del tormentato e fragile protagonista.

A contorno delle proiezioni, il festival ha riservato alcune interessanti occasioni di confronto con personaggi di riferimento della comunità GLBT; come il disegnatore tedesco Ralf Konig, celebre per le sue strisce satiriche sulla vita quotidiana dei gay e sul rapporto fra l’uomo e la religione; o come il cantautore Renzo Rubino, premio della critica al recente Festival di Sanremo con la canzone Il postino.

Il trailer di Boven is het stil

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W imię Zwiastun – OFFICIAL TRAILER HD (2013)
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