HikikomoriALESSANDRO GUALANDRIS | L’immaginazione è la prima fonte della felicità umana. O almeno così la pensava Giacomo Leopardi. Non sembrano essere d’accordo con lui le grandi major dominatrici del mercato dei videogames, come Sony e Microsoft. Perché? Con la presentazione della nuova console di casa Gates, la Xbox One, decisamente più rivelatrice della conferenza stampa di qualche mese fa relativa alla Playstation 4, la grande battaglia dei guru dell’intrattenimento video ludico inizia ufficialmente.

Ciò che ci preme evidenziare, in questo momento, non è un elenco delle varie funzionalità esaltate durante l’evento, ma una riflessione sul futuro sociale dei videogiochi. Già nell’articolo su Ankama e suo Dofus, gioco di ruolo online, affrontavamo il problema di una tendenza all’isolamento di questi neo giocatori, che con la definizione di comunità virtuale, deviano il concetto di aggregazione che è insito nella parola stessa. Il problema, guardando alle prossime uscite in arrivo per le console di nuova generazione, si allarga a macchia d’olio.

Sia Xbox che Playstation hanno capito che la rete e i vari social saranno il vero upgrade per le loro entrate economiche e stanno preparando il terreno per incanalare le scelte dei loro prossimi clienti verso quella direzione: quasi tutti i futuri giochi avranno sessioni online essenziali per il completamento delle avventure virtuali gestendo completamente la vita sociale dei giocatori stessi. E’ come se il classico parco estivo dove ritrovarsi con gli amici per una partitella a pallone o qualche chiacchiera, venisse sostituito dalle piazze virtuali dove scambiarsi nuove informazioni per battere il fatidico mostro dell’ultimo livello. E non sono pochi coloro che poi diventano dipendenti. Stiamo esagerando? In Giappone il fenomeno dell’Hikikomori è presente già dagli anni 90, per poi raggiungere la sua più grande esplosione con l’avvento di internet e la possibilità di sostituire i rapporti sociali fisici con quelli virtuali: giovani e non giovani decidono di isolarsi dalla vita esterna, chiudendosi nelle loro case/camere, evitando contatti con chiunque se non in casi di estrema necessità. Tale fenomeno si sta espandendo anche in Europa e negli Stati Uniti.

Inoltre, analizzando i titoli in uscita, non si può evitare di notare che questi giochi saranno caratterizzati da un comun denominatore: l’assenza di fantasia e coinvolgimento per il fruitore. Tutto è già scritto, tutto è già deciso. Non ci sono interazioni o enigmi da risolvere che possano far variare la trama o coinvolgere il giocatore nel ragionamento, solo interminabili sessioni di lunghe sparatorie, pestaggi o banali momenti di salti ed evoluzioni da una piattaforma all’altra.

Marco Accordi RickardsChe fare quindi per scappare da questa morsa a due tenaglie che stanno per affrontare tutti gli appassionati di videogiochi? Come sempre in questi casi, quando un’arte sembra aver trovato il suo zenit ed è destinata a cadere, ci si rifugia nelle origini e si riscopre cosa l’aveva resa grande. Arte e videogiochi possono quindi ancora coesistere? Certamente! Ne siamo sicuri dopo aver visitato il Vigamus, museo del videogioco di Roma, neonato nel campo difficile dell’arte per esposizione, ma che vive grazie ad un progetto nato più di quattro anni fa. Proprio nella recente notte bianca dei musei oltre 1000 persone gli hanno fatto visita. Tra le stanze,  alle  pareti, nelle teche si trova la storia dei videogames. Per chi ha passato ore e ore davanti ad uno schermo con i mano un joypad o ha speso fortune in cabinati dentro i quali rossi idraulici evitavano perfidi animali chiodati, questo posto è un tuffo nel passato, come nemmeno Marty McFly ha vissuto con la delorian. Ma è anche un luogo per capire e approfondire quello che sta sempre di più diventando un nuovo mezzo di espressione artistica e che rischia di diventare solo un nuovo contenitore economico.

Ne abbiamo parlato con uno dei suoi fondatori, nonché direttore, Marco Accordi Rickards, non solo appassionato di videogiochi ma un vero e proprio pioniere di quella che può diventare una nuova ottica sul mondo virtuale: insegnante dal 2008 presso la facoltà di lettere e filosofia all’università degli studi di Roma “Tor Vergata” nei Corsi di Laurea Di Informazione e Sistemi Editoriali e presso lo IED di Roma, con il corso Storia e critica del videogioco. E’ caporedattore di Game Republic, essenziale rivista per chiunque viva con il pad tra le mani. E’ presidente di AIOMI, Associazione Italiana Opere Multimediali Interattive, che organizza annualmente l’Italian Videogame Developers Conference, per diffondere e promuovere la cultura del videogioco. Abbiamo quindi deciso di fare un collage tra video e foto realizzati presso il museo e di offrirvi la versione integrale registrata, sulla quale rimaniamo come sempre aperti ai commenti per approfondire e raccogliere testimonianze di altri appassionati.
Ecco la video intervista e il reportage sul Vigamus
[youtube http://www.youtube.com/watch?v=NJCHxvhid74&w=560&h=315]

1 COMMENT

  1. E’ vero, l’ immaginazione è proprio fonte di felicità, ti aiuta anche nei momenti di sconforto, questo voleva comunicarci Leopardi, con i videogames, l’immaginazione e la fantasia diventerà una prerogativa di pochi.

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