talitaVINCENZO SARDELLI | Se nel teatro di parola bisogna capire per emozionarsi, in Talita kum, spettacolo di figure che la compagnia fiorentina Riserva Canini ha riproposto alla Zona K di Milano, accade il contrario. Occorre aprirsi alla fascinazione emotiva per afferrare il senso delle parole non dette. Così si possono penetrare i segreti di un’arte che unisce vali stili: il teatro su nero, le marionette, le ombre orientali.

Essenzialità, rigore di un linguaggio che ha nella sintesi e nella suggestione la sua forza espressiva, sono i caratteri di questa performance. Bravissima Valeria Sacco, accompagnata alla regia da Marco Ferro, a comunicare la molteplice forza poietica della bellezza (il profumo dei fiori, il potere vitale dell’acqua, una mela edenica, il fluire del tempo evocato da una sveglia) come allegoria del passaggio dall’ombra alla luce, dall’inanimato al respiro, dall’ignoranza e incoscienza al sapere rischiarato dal senso estetico e dal sentimento.
Dalla morte all’amore, dall’incubo al sogno alla vita. La vera comunicazione avviene nel silenzio: le parole creano equivoci.
La potenza del gesto e degli sguardi impregna Talita kum (in aramaico «svegliati bambina») liberamente ispirato all’episodio evangelico della figlia di Giairo, la bimba morta ridestata da Gesù. Un lavoro immateriale sulla doppiezza che ci contrassegna in quanto uomini.
La scena stessa richiama lo sdoppiamento. Sin da quel velo conico sullo sfondo, che, animato da luci gialle, rosse, azzurre, crea giochi d’ombre sotto le intimistiche note polistrumentiste di Luca Mauceri, Eleonora Pellegrini e Stefano de Ponti che emergono dall’indistinto. Sin da quella valigia in primo piano, contenente oggetti incoerenti (fiori, frutti, acqua, scarpe, sciarpa, una radio che non si sintonizza) metafora di un viaggio indefinito.
Con un pesante costume nero, nel buio della scenografia, una claudicante e imponente creatura scura tenta con fatica di trasferire l’alito vitale a una vermiglia creatura inerte, trasformando il proscenio in evocazioni bizzarre e immaginifiche. Lui e Lei sulla scena, robot disarticolati, manichini in equilibrio precario, in bilico tra danza e amplesso, trasferiscono l’uno nell’altra un’energia che sulle prime non diventa forza semovente. Poi sono le note sfolgoranti del Valzer sentimentale di Ciaikowsky a far emergere Lei dall’inverno esistenziale. A farle arpionare il respiro della vita.
Magistrale quest’arte del mimo, questo chiaroscuro psicologico che raggiunge il pubblico senza una parola. Non a caso Riserva Canini ha già portato con successo questo spettacolo in Colombia e Turchia, e ora si accinge a una tournée in Indonesia. Potenza insuperabile della mimica. Della musica. E della poesia.

2 COMMENTS

  1. Ho visto lo spettacolo e ho bisogno di vederlo ancora e ancora , perché racchiude in se’ il mistero della vita : e’ li , allungo la mano per prenderlo , sfugge . Mi commuove .

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