MARCELLA MANNI | Due mostre in corso possono fornire lo spunto per un dibattito sulla prospettiva femminista nell’arte, che, almeno in Italia, vive un vuoto teorico quantomeno singolare. Partendo proprio dalla scena italiana la mostra Autoritratti.
Iscrizioni del femminile nell’arte italiana contemporanea si pone come obiettivo quello di tracciare una ideale mappatura, a partire da una esperienza concreta che di arte contemporanea vive, cioè il MAMbo, Museo d’Arte Moderna di Bologna. Compiendo una rilettura critica della propria collezione permanente, il Museo si trasforma in un laboratorio aperto a esperienze interne ed esterne al Museo, chiamate a dialogare e a fare proposte a partire proprio da una prospettiva di genere, come scrive Emanuela De Cecco “Se da un lato ci sono ottime ragioni per pensare che la questione relativa al genere sessuale sia superata, dall’altra il contrasto tra la scarsa presenza delle artiste sulla scena italiana dal secondo dopoguerra all’inizio degli anni Novanta e la visibilità del lavoro delle artiste oggi […] è talmente stridente da suscitare alcune riflessioni” e quindi la necessità di promuovere un dibattito si concretizza in un processo espositivo che si può definire “partecipato” sia dalle artiste sia dalle numerose studiose e operatrici di settore coinvolte. L’avvio è affidato alle Costruzioni dell’isteria di Maria Antonietta Trasforini che ha realizzato, negli anni … un lavoro di ricerca prendendo spunto da una mostra fotografica sulle isteriche di Salpetrière, ritratti di fine Ottocento che nelle intenzioni dei medici dovevano avere uno scopo tassonomico di catalogazione di una patologia femminile per eccellenza. Si prosegue idealmente con “le circostanze date” di Maria Lai realizzate in Legarsi a una montagna in cui la storia – i Caduti in Guerra – si intreccia a una leggenda centenaria del luogo – Ulassai, Sardegna – per dare forma a una performance collettiva che è più forte di qualsiasi monumento alla memoria. Non può mancare in mostra il riferimento alla maternità: le (M)others selezionate da Arabella Natalini sono simboli di un rapporto, quello madre/figlia che è memoria ma anche materia, una eredità che è spesso ombra difficilmente rappresentabile. E’ quindi significativo che i lavori scelti siano proprio sul filo della rappresentazione, dai ritratti di Letizia Renzini che nel dittico risolve una distanza fatta di pose e di ambienti o l’autoritratto Por um Fio di Anna Maria Maiolino in cui tre generazioni di donne sono legate fisicamente da un filo che entra ed esce dalle bocche in un gioco quasi performativo, Fotopoesiazione, appunto.
Hanno una matrice dichiaratamente politica le Three true stories allestite a Modena alla Fondazione Fotografia, dove l’immagine fotografica è lo strumento per documentare raccogliere testimonianze con una forte connotazione critica. I punti di vista sono quelli di tre artiste donne, Zanele Muholi, Ahlam Shibli e Mitra Tabrizian che esplorano temi di violenza, di emarginazione sessuale e di conflitto culturale e religioso. La tematica di genere è il fulcro del lavoro dell’artista sudafricana Zanele Muholi, i suoi Faces and Phases ambiscono a costruire una mappatura della comunità nera di lesbiche che vivono in Sud- Africa per dotarla di una “identità visiva” del tutto assente e allo stesso tempo riscattandola da una storia di emarginazione e di violenza alla quale a tutt’oggi sembra impossibile sottrarsi. Ahlam Shibli attraverso la rappresentazione della morte nei campi profughi della Cisgiordania presenta un campionario di omaggio ai martiri che va dalle fotografie ai poster, ai graffiti, ai dipinti che si trovano non solo nelle strade, ma anche all’interno delle abitazioni, tradotte in una sorta di culto quotidiano. La strategia di Mitra Tabrizian è invece quella di muoversi tra realtà e costruzione fittizia; immigrata nel Regno Unito dall’Iran negli anni Ottanta, Tabrizian mette in scena delle situazioni irreali, sospese geograficamente: se da un lato le immagini rivelano i tratti di una società e di una cultura musulmana, dall’altro tradiscono la loro collocazione geografica non “originaria”. La sospensione dello spettatore, il suo smarrimento, è l’effetto che si richiede, lo stesso di chi vive un conflittuale processo di integrazione.
Che sia confronto “duro e puro” con la realtà o riflessione con taglio quasi introspettivo, la micro-lezione che se ne può trarre è che qualunque prospettiva femminista debba essere comunque esplorata nel senso di una apertura e, soprattutto, debba essere praticata come strumento perché, citando Griselda Pollock “fare la differenza è lavorare per creare i mezzi per significare la differenza, e non significa soltanto cambiare angolazione e prospettiva”.
Autoritratti. Iscrizioni del femminile nell’arte contemporanea italiana
MAMbo, Bologna
Fino al 1 settembre 2013
Three True Stories
Fondazione Fotografia
Fino al 23 giugno 2013
// //
FOTOGRAFIE
// //