al metropolitan

MARIA CRISTINA SERRA | Il mondo è spietato, senza mezze tinte nelle foto di strada, virate al nero, di Uscher-Arthur Fellig, divenuto celebre nell’America degli anni Trenta col nome d’arte di Weegee. Sono le notti di piombo ad offrire documenti per i suoi reportage, attraversate dalle pallottole delle Smith&Wesson e dalle sirene della polizia, con i cadaveri ancora caldi a terra, ricoperti di stracci occasionali e di pagine sgualcite dei tabloid, i rivoli di sangue a formare irregolari pozzanghere sull’asfalto. Lui arrivava spesso prima dei detective sul luogo del delitto a bordo della sua Chevrolet, attrezzata a camera oscura mobile, con tanto di radio sintonizzata sulle frequenze della Omicidi di New York. “La radio della polizia era la mia ancora di salvezza. La macchina fotografica era tutta la mia vita, la mia lanterna di Aladino”. Lisette Model, che delle persone ritraeva l’anima, lo immortalò nel ‘45 con l’inseparabile Speed Graphic a tracolla, dotata di flash a lampadine per squarciare l’oscurità della scena con un fascio di luce abbagliante, per raccogliere i dettagli più disparati, in apparente contrasto con la scena madre, in una essenziale inquadratura, per raccontare i fatti più efficacemente delle sue didascalie e dell’articolo che le accompagnava. Una buona dose di cinismo, distacco emotivo, senso della misura e autentico sentimento di pietà erano i suoi ingredienti: rievocati nella mostra “Weegee. Murder is my business”, a Palazzo Magnani di Reggio Emilia (fino al 14 luglio).

Non era un mistero per lui che fra la vita e la morte scorreva un sottile e debolissimo filo, sempre pronto a spezzarsi. Uscher Fellig era destinato fin da piccolo a guardare la realtà senza preliminari né filtri che ne addolcissero le asprezze. Era appena sbarcato con la famiglia ad Ellis Island, nel 1910, proveniente da Zloczew, terra al confine dell’impero austro-ungarico, per sfuggire alla povertà e ai pogrom, che subito l’Ufficio immigrazione gli cambiò nome, americanizzandolo in Arthur. Il Nuovo Mondo lo accolse in quel groviglio di promiscuità etnica e culturale, affanni e delusioni miste a speranze, che era il Lower East Side di New York. Da lì partì la sua avventura alla conquista della prima pagina sulla cronaca di nera; da quella consuetudine a respirare l’odore della fatica a fine giornata, misto ai vapori densi delle zuppe che bollivano per la cena, riempiendo di respiro vitale gli androni dei fatiscenti caseggiati sovrappopolati. Era allenato a confrontare i tanti volti della miseria che insieme alle differenti lingue si mischiavano in un unico universo; a registrare le condizioni della classe operaia; a osservare i giochi e i riti dei bambini che celebrerà poi in foto come: “Children on Fire Escape” e “Summer of the Lower Est Side, divenute simbolo di un’epoca.

Arthur Fellig iniziò nel ’14 a misurarsi con la vita, lasciando la scuola e facendo i mestieri più umili. Negli anni ’20 da tecnico di laboratorio passa a fotoreporter per l’Agenzia Acme News Pictures, che riforniva di scoop tre quotidiani della Mela: “Daily News”, “World Telegraph” e “Herald Tribune”. Poi, nel ’35, arriva la notorietà come free lance e firma le sue foto con un timbro speciale: “Credit photo by Weegee. The Famous”. Gli angoli malfamati di N.Y., come quelli scintillanti dei club dove risuonavano le note dello swing e i ritmi sincopati del jazz, non avevano segreti per lui. Erano impercettibili i confini fra criminalità e legalità, ma il suo “Occhio Indiscreto” (film di Howard Franklin, con Joe Pesci, che si ispirò alla sua figura) riusciva sempre a penetrare nelle ambiguità fra le luci della ribalta e le ombre sinistre del National Crime Syndicate. Sono l’audacia, l’ironia, le angolazioni spericolate e il gusto delle contrapposizioni a regolare il suo obiettivo, “sparato, senza pensare troppo”. A volte usando una luce radente, soffusa, per non far vedere troppo sangue; in modo che “lo sguardo rigido del cadavere si potesse confondere con quello di un povero diavolo che schiacciava un pisolino”. A volte, la vittima è circondata da un’umanità curiosa, che si affaccia nella foto, per avere un attimo di celebrità, indifferente alla compassione, assuefatta alla violenza .

offenders

Vogliono invece celare la loro identità i due arrestati di “Offenders in the Poddy Wagon”, col viso coperto dai cappelli. Solo una borsetta accanto ad un lenzuolo bianco, che buca la notte sulla Park Avenue, ci dice che lì sotto giace una donna. C’è la simultaneità del racconto nell’arresto di Anthony Esposito: un guizzo di reazione bloccato da imponenti poliziotti ripresi di spalle. Domina il sarcasmo in “The Critic”, con la concretezza della cronaca a contrapporre ricchezza e povertà: l’entrata al Metropolitan Opera delle vecchie dame agghindate è macchiata dall’avanzare di una barbona ubriaca. Incongruenze della vita. I tanti volti della metropoli, “in cui bellezza e bruttezza si sovrappongono; tutti amano la bellezza, ma la bruttezza permane”.

Trailer da “Occhio indiscreto”

1 COMMENT

Comments are closed.