MARAT | Il Gianni ce l’aveva nello sguardo la bandiera rossa. Quando entravi nel suo seggio, ti fissava come una madre che ci crede ancora. “Fa la cosa giusta, Marat!”, mi diceva perso in quel maglione troppo grande e troppe volte rammendato. E gli occhi suoi me li sentivo sulle spalle. Quando sbagliarono i compensi per gli scrutatori, si fece festa. Per un paio d’ore. Lo Stato aveva pagato il doppio e se ne accorse tardi. Il Gianni era corso alla Coop a spendere quello che aveva guadagnato. A noi toccò soltanto metter le gambe sotto il tavolo. Non diede mai indietro quei soldi perché non aveva una moneta in tasca. Ma ancora mi commuove il pensiero che pur di non mentire, s’era andato a spendere tutto. Questione di stile. Quello che non ti fa chiedere una sigaretta, anche se arrotoli la lanella dei pantaloni. Che devi aspettare che l’orgoglio si distragga per fargli scivolare un mezzo pacchetto nella giacca. E poi… E poi noi tutti in piazza col pugno chiuso, quando se ne è andato.
Chissà che avrebbe detto il Gianni del concerto dei nazisti qui a Milano. La Milano Medaglia d’Oro della Resistenza. Qualche tempo fa. Che io mi ricordavo ci fosse tipo un reato di apologia di fascismo. Che certe lezioni si imparano. O forse no. Vista poi la città tappezzata di commossi ricordi dell’Almirante. E di nazivolantini neanche fossero pubblicità di un nuovo kebab. Quando sono andato da Paolo Conte a Gardone, mentre cantava “libertà e perline colorate, ecco quello che io ti darò”, ero disturbato dal pensiero di quanto il bar in piazza fosse grasso di paccottaglia col mascellone. Lì, dove ero appena andato a bermi una cedrata. E gli accendini dal tabaccaio dove non vado più, e il calendario alle spalle del pizzaiolo… C’è un’emergenza neofascista. E c’è un’emergenza da codardia culturale. Nessuno dice niente. Siamo solo bravi a indignarci nei salotti e sui social network, incitare alla resistenza di Istanbul, sconvolgerci per la cronaca, sentirci rivoluzionari postando una canzone. Cose così, militanti d’accatto. E poi… E poi ci disegnano una svastica sotto casa e ci passiamo via, veloci veloci. Chissà che avrebbe detto il Gianni. Sicuramente qualcosa di più della gran parte della gente del mio teatro. Tutti rossi. Ma solo sul palco.