GIULIA MURONI | La 13esima edizione del festival Interplay, a Torino dal 22 maggio al 19 giugno, si è costruita sui due assi portanti: per un verso l’organizzazione, capeggiata dall’energica Natalia Casorati, che si occupa di dare spazio (Spic&Span) e possibilità formative a giovani performer (Daniele Ninarello nel progetto “Sharing choreographic residency”); per l’altro le numerosissime collaborazioni, che hanno reso possibile un programma variegato di presenze nazionali e internazionali. Il “pacchetto” Interplay, combinazione di momenti e location differenti, ricco di proposte e collaborazioni, raccontato da un preciso sistema di comunicazione web, video e fotografica, si presenta, ad alcuni giorni dalla chiusura, come una riuscita operazione culturale, le cui caratteristiche cerchiamo di approfondire con l’organizzatrice Natalia Casorati.
Quale bilancio per Interplay 2013? Quali sono state le peculiarità e i cambiamenti rispetto alle edizioni precedenti?
Per me è andata molto bene, ma penso che in fondo l’ultima parola in questo l’abbia il pubblico. Le edizioni, più che cambiare, crescono. Allo stesso modo cresce il pubblico e cresco io, come organizzatrice imparo ogni volta qualcosa di più e cerco di ottimizzare l’organizzazione del festival di edizione in edizione. Io sono molto soddisfatta, quest’anno c’è stato moltissimo pubblico e trovo che le compagnia fossero ben armonizzate all’interno delle serate.
Ritiene ci siano state scelte azzardate nella scelta degli spettacoli?
Difendo molto le scelte che faccio, di cui peraltro sono consapevole in quanto vedo gli spettacoli prima di proporli per il cartellone. La difficoltà maggiore per noi operatori culturali-programmatori in questo momento in Italia consiste nella ricerca di fondi.
Facciamo l’esempio dello spettacolo “Folk-s” di Sciarroni, che ha suscitato reazioni che hanno diviso il pubblico. Come considera questo esperimento?
Il lavoro di Sciarroni è vicino alle arti visive, quindi unisce la ricerca del movimento, l’utilizzo di una materia corporea ad un processo performativo legato alla sua ricerca in ambito visuale. I danzatori hanno fatto una scommessa particolare: almeno uno di loro rimarrà sulla scena fino a quando resterà qualcuno del pubblico a guardarli. Chiaramente è un rischio, anche perché loro cambiano ogni volta la sequenze e l’utilizzo dello spazio scenico, perciò la riuscita dello spettacolo è sempre diversa, ma questo esperimento mi ha convinta e credo che Sciarroni sia una delle realtà più interessanti nel panorama contemporaneo nazionale.
Interplay gode dell’appoggio di numerosi sponsor e partner. Questa opportunità limita la libertà di scelta della direzione artistica o la condiziona in un qualche modo?
Io posso fare quello che voglio! Interplay riceve sovvenzioni da diversi enti e questo ci permette di essere molto indipendenti. È chiaro che se uno ricevesse un contributo da una sola struttura si troverebbe ad essere maggiormente vincolato. Per noi invece non è così, il che può rivelarsi per certi aspetti un fattore positivo, per altri negativo. Noi riceviamo poco da tanti, perciò dobbiamo continuamente ricercare fondi e, se viene a mancare anche soltanto un finanziamento diventa molto difficile. Credo questa sia anche una scelta di libertà, che consente al festival di mantenere la sua originalità, la sua unicità, portando compagnie che appartengono ad uno scenario di avanguardia della giovane danza nazionale e internazionale e di mostrarle al pubblico di Torino.
Interplay e il pubblico: come avete costruito il rapporto con il vostro pubblico e come è cambiato nel corso delle edizioni?
Il pubblico è meraviglioso perché ci segue con grande passione. Siamo molto contenti di questo. Penso che l’incremento costante di pubblico sia dovuto non solo alla grande promozione che tutti gli anni articoliamo in modo differente, ma anche grazie alla rassegna Inside off, manifestazione gratuita che prevede alla fine degli spettacoli un dibattito tra artisti e spettatori. Questo serve ad avvicinare il pubblico, soprattutto quello che tendenzialmente non va a teatro. Inoltre usiamo diversi canali web per promuovere le notizie e fortunatamente i media parlano molto di noi.
Quali sono i progetti per il futuro?
Ora è difficile immaginarlo perché è appena finita questa edizione, però direi che ogni anno Interplay si rimette in discussione e cerca sempre nuove progettualità. Ad esempio quest’anno abbiamo cominciato a coinvolgere i ragazzi del liceo Alfieri in una collaborazione con la rivista Krapp’s Last Post, così che potessero seguire il festival e scrivere poi le loro impressioni. E’stato un progetto molto coinvolgente ed è stato sorprendente leggere negli articoli dei ragazzi cosa li avesse colpiti di più. Nelle ultime due serate abbiamo mostrato l’esito di un progetto di residenza coreografica che ha visto lavorare insieme tre danzatoriprovenienti da tre paesi diversi, uniti in una creazione condivisa, con la supervisione di un mentore. E’ stata una scommessa…ma con un risultato molto positivo! Per quanto riguarda il futuro vedremo cosa succederà.