RENZO FRANCABANDERA | Ci sono momenti che raccontano forse più di altri la portata di un evento, il dialogo con il suo tempo. Se dovessimo sceglierne uno per il Mittelfest 2013, festival di arti performative, musica e teatro che da più di vent’anni, ventidue per la precisione, le valli del Natisone e Cividale del Friuli ospitano, eleggeremmo il concerto di Enrico Bronzi nella bellissima chiesa di San Francesco a Cividale del Friuli.
Il perché risiede nella scelta, fatta da Enrico Bronzi, storico componente del Trio di Parma (ensamble che ha contribuito a fondare nel ’90), di cercare, pur in una selezione per violoncello solo, di brani di epoche e stili diversi, di proporre momenti di dialogo con il nostro tempo di non agevole fruibilità ma cui donare una potenza di evocazione incredibile.
E’ il caso, ad esempio, del momento forse più alto del concerto, l’esecuzione del Kottos per violoncello solo di Iannis Xenakis. Il pezzo è una esecuzione di notevolissima complessità anche tecnica, tanto che il maestro ha scelto di adoperare un archetto diverso da quello ottocentesco che solitamente usa, nel timore che il gioco di pressioni sulle corde potesse andare oltre la tensione che l’oggetto avrebbe potuto reggere. Cercare in rete qualche esecuzione del brano può aiutare a comprendere di che tipo di proposta si tratti, ma l’ardimento della rilettura di Bronzi è nel tentativo di cercare, per questa partitura un coraggio di tonalità e sfumature nuove perfino nel passaggi più ostici, cercando quasi di dire come anche quello che sembra rumore, è in realtà un composto di sonorità messe insieme, la cui maggiore o minore fruibilità all’ascolto è anche e soprattutto nell’intenzione di chi emette il messaggio sonoro e di chi lo riceve.
Questa riflessione di caratura artistica più che tecnica, permea e in parte segna l’edizione di quest’anno del festival, che proprio sul dialogo fra emittenti e riceventi prova a vertere la propria indagine.
Significativa, da questo punto di vista, la maratona del secondo giorno del Festival, un allestimento maratona di Microcosmi, capolavoro letterario di Claudio Magris, trasformato in uno spettacolo itinerante da Giorgio Pressburger, una delle firme che hanno segnato indelebilmente la storia di Mittelfest, storico e anziano regista di questa terra.
Lo spettacolo, itinerante per le vie del bellissimo borgo friulano, è stato una sorta di dolce e dolorosa via crucis in nove tappe, disseminate nello straordinario palcoscenico di Cividale del Friuli, agitandolo di storie e narrazioni con cui lo scrittore, nostro contemporaneo e presente all’allestimento, ha raccontato la Storia della sua terra attraverso la descrizione di piccoli episodi, marginali vicende di personaggi borderline, frequentatori di bar e locande. I microcosmi culturali che compongono questo straordinario mosaico della civiltà europea sono infatti l’essenza stessa del festival, che in tema di arti e regionalità, rimane senza dubbio uno degli esperimenti più intriganti e a suo modo complesso, volgendo la propria attenzione ad un’area vastissima cui questa parte d’Italia da sempre guarda, per prossimità, traffici, origini e condivisioni linguistiche, sociali, gastronomiche e diremmo quasi antropologiche.
Il programma del festival, d’altronde, pur nell’avvicendarsi delle direzioni artistiche ha sempre guardato ad un ambiente vocazionale centroeuropeo cercando dialogo, ponti, aperture. Come quella alla Croazia, che all’entrare nell’Unione Europea, si vede di fatto dedicare l’edizione del festival, con l’apertura riservata al regista Pandur con Michelangelo, una coproduzione del Teatro di Zagabria e del Giovanni da Udine. Lo spettacolo, che ha aperto il festival Venerdì 12, cerca in forma epica, e per evocazione di grandiose immagini apocalittiche, di raccontare la dicotomia titanica fra l’artista, il suo tempo, l’arte, la Chiesa. Un tessuto drammaturgico costruito appositamente sullo spettacolo non è tuttavia sufficiente a farne decollare l’impianto grandioso, che rimane staticamente bloccato su alcune idee, senza riuscire a dare un’omogeneità complessiva e uno slancio possente ad un lavoro dalle pretese ambiziose.
Ma quella che forse, ancor più dei grandi nomi che comunque il festival ha ospitato da Adriana Asti, con i due atti unici di Jean Cocteau (La voce umana e Il bell’indifferente) e al nuovo lavoro di Lina Wertmüller (Un’allegra fin de siècle), è stata proprio la volontà della direzione artistica del festival è stata la volontà di mettere a fuoco il proprio obiettivo leggendo le complessità in maniera esplicita. Non a caso a suggellarlo, nella giornata conclusiva del festival, è stato l’incontro avente come titolo, certamente senza mezze misure, “Paradosso Europa”, un appuntamento realizzato in collaborazione con il festival Vicino/Lontano, e con l’antropologo e storico delle religioni, docente all’Università di Udine, Nicola Gasbarro a parlare di identità europea, intervistato dal direttore dell’inserto culturale del Sole 24ore Armando Massarenti.
Chiudiamo menzionando, all’interno dell’offerta della rassegna, gli eventi nati dalla rinnovata e ancor più forte collaborazione con il DAMS dell’Università di Udine nel percorso musical cinematografico “Ritorno al Futuro”, e con il Conservatorio “J. Tomadini” di Udine e Tartini di Trieste, che nel percorso Innovatori Conservatori ha visto impegnati giovani allievi ed alcuni docenti in oltre una decina di esibizioni in alcuni dei luoghi più suggestivi di Cividale.
Fra archi e absidi, su scalinate scoscese e pietre millenarie, gli appuntamenti gratuiti con la musica hanno visto una partecipazione di pubblico eccezionale. C’è grande fame di slanci, oltre i paradossi. C’è ansia di trovare chi sappia indicare i suoni nella complessità dei rumori.