ANDREA CIOMMIENTO | Carrozzeria Orfeo presenta il primo studio del nuovo allestimento “Thanks for Vaselina” coprodotto dalla Fondazione Pontedera Teatro in debutto il 29 e 30 agosto al Festival Castel dei Mondi di Andria. Un lavoro che indaga le estensioni di una drammaturgia originale, già manifesta nel suo primo atto presentato ieri a Collinarea. Chiacchieriamo con l’autore Gabriele Di Luca, attore e regista dello spettacolo insieme a Massimiliano Setti e Alessandro Tedeschi (in scena con Beatrice Schiros e Francesca Turrini).
Fin dall’inizio osserviamo il conflitto che permane nelle relazioni di tutti personaggi in scena…
Ci è sempre interessato raccontare storie lontane dalla retorica, dalla didascalia o dalla didattica. Vogliamo raccontare storie di essere umani che arrivano a picchi di estrema violenza e drammaticità ma senza rinunciare all’ironia, ai paradossi, alla tragicommedia. Questo genere ci piace molto.
Quali sono i vostri riferimenti drammaturgici?
Mi ispiro alla drammaturgia del teatro nordeuropeo come gli inglesi o gli irlandesi. Una drammaturgia imbevuta di ferocia e bontà come un controcanto degli ultimi. Questi personaggi sono vittime e carnefici perché perdono e vincono continuamente, tra la lotta per l’amore e per il potere.
Quest’ultimo allestimento cosa rappresenta per Carrozzeria Orfeo?
È il nostro sesto lavoro dopo gli ultimissimi “Idoli” e “Robe dell’altro mondo”, tutti lavori molti diversi seppur legati da una poetica. Vorrei tornare al primo lavoro “Nuvole barocche” con una sola unità di luogo. “Thanks for Vaselina” nasce con la volontà di avere un luogo fisso ma tanti personaggi. Il lavoro si compone di tre atti. Qui a Collinarea abbiamo mostrato il primo che si dedica all’azione e alla conoscenza dei personaggi. Il secondo è emotivo e si dedica all’esplosione dei conflitti. Il terzo alle catastrofi e alle grandi riconciliazioni.
Lo spettacolo debutterà tra poco?
Il debutto è previsto per il 29 e 30 agosto al Festival Castel dei Mondi di Andria. Sarà un lavoro della durata di 1 ora e 35 minuti, una sfida dal momento che abbiamo raggiunto il massimo di 1 ora e 20 minuti con i nostri spettacoli. Ci sembra che il primo atto scorra, che non annoi. Il secondo lo abbiamo montato e ora è da rifinire. Da domani lavoriamo al terzo.
Un approccio drammaturgico che parte dall’attore…
Il fatto di essere un autore nato come attore credo sia solo un vantaggio. Già quando studi recitazione in accademia inizi a conoscere la scrittura. Lavorando con altri due registi in scena, Alessandro Tedeschi e Massimiliano Setti, che è anche socio fondatore per Carrozzeria ho iniziato uno scambio continuo rispetto alla drammaturgia. Arrivo alle prove con il testo e metto il testo al servizio dello spettacolo, non viceversa. Questo quindi subisce delle variazioni. Il novanta per cento rimane e il dieci viene solitamente tagliato secondo le esigenze.
Hai parlato del tuo interesse per la drammaturgia nordeuropea. Qual è la condizione panoramica della drammaturgia in Italia?
È un punto molto delicato. Non amo particolarmente alcuni miei colleghi contemporanei rispetto alla scrittura anche se ci sono esempi che mi piacciono molto. In Italia non amo la struttura, le lunghezze, le molte parole che il personaggio dice prima di arrivare al dialogo. Qui da noi c’è spesso una drammaturgia costituita da momenti sconnessi, senza struttura narrativa precisa ma composta da più immagini e suggestioni drammaturgiche oppure da grandi monologhi. A volte anche una ricerca di poeticità forzata. Invece quello che mi piace della drammaturgia inglese sono le lame, una sorta di sega circolare. Lo spettatore non fa in tempo a mettere la testa in una situazione che dopo dieci minuti torni alla situazione di prima e pian piano colleghi il tuo cervello e il cuore che pulsano insieme alle emozioni perché non c’è tempo. Quando leggo quei testi sembra che arrivi alla fine qualcosa di molto preciso e non potrebbe essere altrimenti. Nella drammaturgia italiana invece ci potrebbero essere venti minuti in meno come in più e non farebbe differenza alcuna.
[…] e non potrebbe essere altrimenti.[…]». Con queste parole in un’intervista apparsa su Pac, a firma Andrea Ciommiento, Gabriele Di Luca motivava la sua fascinazione per la scrittura teatrale […]