MARAT | Tempo fa, sono finito a male parole con un regista. Uno di quelli amatissimi da noi che diciamo di intendercene di teatro. Di poco pubblico e tanti applausi. Insulti vari, scambi d’accuse, specchio riflesso e cose simili. Con la concreta possibilità di fare rissa alla prima occasione, visti i rispettivi caratteri parecchio fumini. Peccato perché pare essere persona piacevole. Ovviamente avevo ragione (se ne dubitava?): il maestro non aveva colto la citazione e si era sentito tirato in causa. Che si sa, gli artisti non sono aggiornati sulle uscite musicali e pagano una certa suscettibilità.
All’epoca mi aveva dato noia, anche perché la cosa aveva assunto toni surreali e io invece non ne volevo mezza. In realtà a pensarci ora, è stato uno dei pochi (pochissimi) sussulti cui ho assistito in un ambiente di pace e serenità. Perché il teatro è così: siamo tutti amici e perciò felici. Come gli Snorky. Almeno all’apparenza, che poi alle spalle ci si accoltella. Con prevedibile ricaduta a cascata sull’indipendenza di giudizio, sulle cordate di voti nei premi, sui campanilismi. Che a scaldarci son solo paturnie artistiche, tematiche da adepti. Noia incarnita. Che quando poi c’è da esporsi sul serio, dare un’opinione non dico politica, ma che solo si allontani di qualche centimetro dalla retorica del palcoscenico, gli sguardi rimangono bassi, la lingua si fa impastata, gli impegni pressanti. Convegni vuoti, incontri sindacali che par d’essere in bocciofila, tavole rotonde disabitate, discussioni zavorrate. E ci penso perché in questi giorni sto oziosamente seguendo il tentativo dell’ambiente musicale di cambiare le regole delle esibizioni dal vivo.
Certo, abbondano i litigi adolescenziali. Populismi e ignoranze. E mica tutte le teste sono proprio a bolla. Ma il percorso pare avere una concretezza sconosciuta nei foyer. E (soprattutto) una vivacità di confronto alla base, un sentirsi categoria, che nel teatro si spegne al secondo sbadiglio. Massì mon ami, facciamo allora ancora un po’ di rissa. Anche se si capisce ‘na sega in due. Regaliamo scampoli di vivacità. Ma poi troviamoci dalla stessa parte a dareuna scossa a ‘sto teatro. Che passano gli anni e poco fa. Se non starsene con uno spritz in mano a piangere. Che fa caldo, governo ladro.