GIULIA MURONI | A sentire Lutz Forster pare di sì. Lo storico interprete (celebre il suo assolo in Nelken http://www.youtube.com/watch?v=Z8wnBSclJjg) è ora direttore artistico della compagnia, dopo Pina Bausch e Dominique Mercy. “Le due finalità del mio lavoro- dice Lutz a Bari, poco prima della replica di Sweet Mambo- consistono nel mantenere alta la qualità artistica del repertorio e nella produzione di nuove opere. A questo scopo la compagnia, in collaborazione con la città di Wuppertal, sceglierà un artista che sviluppi un nuovo concept del lavoro”.
Tuttavia i problemi sono numerosi e di varia natura. La compagnia è molto costosa, ci sono danzatori dai 30 ai 60 anni, con necessità ed esigenze sindacali differenti. Lo sguardo di Pina è venuto a mancare e si profila il rischio di creare una maniera à la Bausch. Le opere (“i pezzi”) erano strettamente intrecciate alle storie dei primi interpreti e di Pina stessa. Sarà possibile mantenere in vita queste opere nate e costruite sul loro vissuto con altri interpreti? In un precedente post su PAC, Bruna Monaco ha scritto molto bene a proposito di queste difficoltà.
Il dialogo tra Forster e Bentivoglio del pomeriggio ha posto degli interrogativi che la sera dello spettacolo ancora mi ronzavano in testa. Dopo lo spettacolo le perplessità e i timori sul futuro artistico della compagnia sono rimasti. Ma ciò che è rimasto in me sopra ogni cosa è l’emozione di fronte ad un lavoro immenso, di una bellezza folgorante. Non la bellezza di un reperto archeologico, ma quella di un’opera viva, calda, presente.
“Sweet Mambo” racconta quel “dolce mambo” che è la relazione fra gli uomini e le donne, quella dinamica giocosa e conflittuale, terribile e crudele, disarmante e magnifica, che caratterizza e ravviva la nostra esistenza di animali sessuati.
In scena le danzatrici storiche della compagnia di Wuppertal, ciascuna delle quali ritaglia per sé uno spazio di costruzione drammaturgica. Lo spettacolo, penultima opera di Pina Bausch, viene disegnato dai corpi di queste donne meravigliose, che vivono la loro personale storia, firmando le immagini con i loro nomi. Nomi (Regina, Julia, Cristiana, Aida, Helena, Clèmentine) scanditi verso la platea, con l’invito a non dimenticarli. La presa di parola pubblica, l’uscita da un silenzio protratto nel passato, appare come l’assunzione di responsabilità, della volontà di scrivere e raccontare una storia come soggetti. Le donne rifiutano il ruolo di muse silenziose, nel quale a lungo l’arte le ha confinate, per dare voce e corpo ai loro sentimenti, alle loro narrazioni, alle loro vite. Gli uomini sono solo tre, vestiti interamente di nero, subalterni in una prospettiva ribaltata. Fungono da perni per mirabolanti giravolte, nascosti dietro i veli della scenografia, compagni silenziosi di queste donne dirompenti che invadono la scena.
Alle singole presentazioni iniziali, espressioni delle specifiche cifre stilistiche di ogni interprete, seguono momenti di duo e qualche sparuto ensemble. Regina Advento danza dentro una bolla, creata da un velo gonfiato dal vento che ovatta la sua immagine, accogliendola e donandole uno strato di trasparenza. Come dentro un sacco amniotico in cui trovare la vita e il nutrimento, la danzatrice compie il suo assolo intenso e struggente. Risuona l’eco delle grida di Julia Shanahan, fermata nella sua corsa spasmodica e ricondotta al punto di partenza dalle braccia di Michael Strecker e Andrey Berezin. Il suo tragitto taglia in diagonale il palco, diventa un loop estenuante, in cui ad ogni impeto di fuga corrisponde la reazione dei due uomini che bloccano il viaggio e riavvolgono l’azione, tra le urla e i lampi improvvisi. La sensualità raggiunge l’apice quando un trio di donne (Shanahan, Advento, Stanzak) scopre la schiena, fino a quel momento fasciata da splendide sete colorate (i costumi di Marion Cito) per esporla alle attenzioni dei tre (Berezin, Kokkinos e Strecker). La pelle scoperta viene allora baciata con delicatezza e devozione, regalando un quadro erotico appassionato e raffinato.
Come di consueto Pina Bausch è partita dallo studio rigoroso del sostrato fisico presente nei segni della comunicazione quotidiana, giungendo ad un movimento che, astratto dall’ordinario, assume quella portata simbolica e espressiva in grado di esprimere verità. Un racconto di verità svincolato da legami stringenti con la realtà, capace di assurgere a quell’universalità dei sentimenti peculiare del Tanztheater di Wuppertal.
“Sweet Mambo” è uno spettacolo ironico e poetico, attraversa i nodi esistenziali con la stessa leggerezza dei grandi veli bianchi ondeggianti della scenografia. Un vento lambisce e accarezza i corpi e li accompagna nel movimento. La danza fluisce dal radicamento, dall’essere centrato, dall’esserci e con leggerezza si espande, trascina, avvita, gonfia, torce, sbatte e sospende.