NICOLA ARRIGONI | «Una convinzione di fondo permea questo volume – scrive Massimo Recalcati nell’introduzione a Jacques Lacan. Desiderio, godimento e soggettivazione – : Jacques Lacan è stato il più grande pensatore del soggetto di tutto il Novecento. Nessuno come lui è riuscito a fare propria e a sviluppare con forza e originalità tutte le conseguenze che il doppio trauma provocato da Freud – quello del soggetto dell’inconscio e quello della pulsione di morte – ha rappresentato per la ragione occidentale».
Si crede che quanto scritto in apertura dell’importante tomo dedicato a Lacan e pubblicato da Raffaello Cortina Editore (pagine 648, 39 euro) possa fare da viatico all’idea e al lavoro di esegesi che Massimo Recalcati opera sul pensiero di Lacan, come modello ermeneutico per capire come «dare senso all’esistenza stessa se essa è, nel suo fondo, priva di senso? Come, insomma, si può vivere senza perdere il sorriso?».
Per questo motivo pare plausibile intrecciare la lettura del volume su Jacques Lacan, primo tomo di un’opera che intende dare sistema allo studio che Recalcati ha condotto su Lacan, un saggio più agile, ma non per questo meno intenso che poggia le basi sul pensiero lacaniano e che propone i Ritratti del desiderio, pubblicato sempre da Raffaello Cortina Editore (pagine 190, euro 14).
E dopotutto – scrive sempre Recalcati – «desiderio è il nome che Lacan attribuisce alla possibilità di ritrovare un godimento svincolato dal narcisismo autistico dell’Uno e capace di potenziare la vita, di sottrarla al circolo vizioso dello Stesso e alle spirali mortifere della pulsione di morte». Esattamente l’opposto di quanto accade oggi laddove «non casualmente il desiderio è parola che il discorso capitalista anziché liberare – come falsamente promette – prova ad abrogare, a estirpare, ad annientare offrendo, in contropartita a questa distruzione, la falsa promessa della guarigione del soggetto dalla divisione che lo affligge». Il desiderio è metafora dell’esistenza ed è per questo che interrogarsi sul desiderio alla fin fine è interrogare quel senso di ‘mancanza’ che contraddistingue il nostro vivere, alla ricerca dell’altro/altra, dell’altrove, alla ricerca di una completezza, a suo tempo ben già espressa da Platone.
«La mancanza di cui è fatta l’esistenza umana – la mancanza da cui il desiderio sorge (si desidera sempre quello che non si ha, quello che manca) – non si deve mai estinguere», scrive Recalcati.
In questo senso il desiderio è desiderio dell’altro, e quindi – implicitamente – anche riconoscimento nell’altro di una parte di noi che se non ci appartiene e si crede possa completarci. «Il desiderio come desiderio dell’Altro mostra che il desiderio umano ha una struttura relazionale. «Non esiste desiderio senza l’Altro, perché il desiderio non può bastare a se stesso» e ancora il desiderio «è il dono della mancanza dell’Altro, è il dono di quello che l’Altro non ha, è il dono della mancanza che la tua presenza e la tua assenza sanno aprire in me», scrive sempre Recalcati facendo l’esegesi di Lacan.
E’ da questa mancanza dell’altro e riconoscimento dell’altro che bisogna ripartire in direzione di un desiderio che è comportamento etico, e dopotutto «per umanizzare la vita è necessario che intervenga il desiderio dell’Altro, perché è solo questo desiderio che può rendere la vita umana vivente». E Recalcati/Lacan individua la prima forma di riconoscimento dell’altro da sé nel rapporto padre e figlio, laddove «il desiderio come desiderio dell’Altro si soddisfa solo attraverso l’esperienza del riconoscimento».
La figura paterna è figura di riconoscimento dell’altro da sé. Nella dialettica del riconoscimento fra padre e figlio c’è il dono della parola, in questo dono si compie il dissolvimento del padre che è in realtà la sua realizzazione più piena, negando se stesso e dando il volo al figlio, «perché il dono della parola porta con sé la rottura definitiva dell’identità, l’impossibilità di uniformare la parola dell’altro alla propria, l’inesistenza di un’ultima parola sul senso della vita e della morte». In questo senso il dono della parola dal padre al figlio è viatico alla vita, è l’incoraggiare ad un altrove, al desiderare un altrove e l’incontro con l’altro, nella consapevolezza che il senso di mancanza proprio del de-siderare e lo sguardo verso il cielo e la volta stellata in ceca di un nostro posto nel mondo siano il lancio all’essere nel mondo, al costruire il sé come relazione con l’altro, scontro con l’altro, definizione del proprio essere in confronto/scontro con chi si incontra. E dopotutto – osserva Recalcati – «il passo inaugurale dell’insegnamento di Lacan consiste nel mettere in scacco la nozione di Io e ogni supposizione di padronanza che essa comporta. (…) il problema del soggetto per Lacan si configura da subito come il problema della totale irriducibilità della vita psichica all’immagine personalistica di un’autocoscienza o di una coscienza riflessiva». Come dire la costruzione dell’Io è condivisa per quanto solitaria, è senso di mancanza, è desiderio dell’altro, dell’incontro con l’altro, e dell’altrove.
Ma cosa succede se questo altrove, questa alterità vengono meno? La vita appassisce, si mortifica, s’inchioda sterilmente al puro esistente. Ed è quanto accade oggi in cui il soggetto dal capitalismo al declino è «ridotto a pura macchina pulsionale, a un consumatore iperadattato di gadget, abrogando la dimensione creativa e indomabile del desiderio». E allora tornare a desiderare l’altro come completezza di sé, tornare a desiderare l’altrove può essere una rivolta nei confronti del nostro orizzonte presente, può rendere reale l’altrove, provocare una rottura, dare vita all’indignazione «che non obbedisce al principio di realtà, che non si adatta a ciò che esiste, ma che invoca il cambiamento, la trasformazione dell’esistente come esigenza della vita». Insomma desiderare è un po’ fare la rivoluzione.
Massimo Recalcati, Jacques Lacan. Desiderio, godimento e soggettivazione, Raffaello Cortina Editore, pagine 648, 39 euro.
Massimo Recalcati, Ritratti del desiderio, Raffaello Cortina Editore, pagine 190, euro 14.
Penso che per desiderare in modo creativo bisogna poter disporre di tempo per riflettere e meditare . Quello che manca a molti in quanto presi dall’ingranaggio del sistema disumano attuale è disporre di tempo per se stessi
Personalmente sono molto d’accordo con questo tema della disumanizzazione del desiderio indotta dal mondo digitale che annulla il tempo “vuoto”
Renzo Francabandera