MARAT | Pornografia. Giornalistica. Un uomo perde moglie e due figli in un incidente stradale. Me lo racconta il servizio di un tg. Che chiude dicendo che sto poveraccio non potrà più prendere il piccolo sulle sue ginocchia. E chiamarlo col nomignolo con cui l’ha sempre chiamato. Ecco, collega (per così dire). Io se ti avessi di fronte ti prenderei a ciaffoni, come un Mascetti incazzato. Perché tu mi devasti il paese. Facendo leva sulle emozioni più basse: la commozione, la paura, l’euforia, il senso di appartenenza. Fai pornografia. Giornalistica. Sperando di cogliermi con le difese basse. O senza strumenti. Quanto siamo oggetti e non più soggettivi attivi nella comunicazione? Finisco a leggere l’Irish News. Si racconta di una ragazzina tolta alla famiglia rom per dei controlli sul dna, dopo il caso saltato fuori in Grecia. Mi sorprende (tanto) la forma. L’origine straniera della famiglia è citata solo all’interno del pezzo. Il titolo si può riferire tranquillamente a una famiglia nata e cresciuta a Dublino, in Temple Bar. E il fatto specifico che siano rom non è menzionato. Ma noi a furia di leggere quotidianamente pornografia, abbiamo da tempo abbassato la guardia. E quando si abbassa la guardia si diventa fragili. Molto. Come George Foreman nel 1974 di fronte a Muhammad Ali. A Kinshasa, in Zaire. Con lui a menare come un fabbro per otto riprese, senza capirci niente. E poi crollare a terra stremato, nel momento decisivo. Incapace perfino di alzare i guantoni. Ci hanno sfiancato. E ora siamo alla mercé di chi è in grado di toccare le nostre corde. Con una risata, uno slogan, una lacrima, una speranza. Con la retorica di un intervento alla Leopolda. O portando sul palcoscenico un ragazzino down a far le mossette. Già, il teatro. Maestro di pupi quando si parla d’emozioni. Ma quanta responsabilità ci vuole nel maneggiare i sentimenti altrui? Confine labile. Eppure… Eppure me ne accorgo. Mi accorgo quando vuoi solo il mio applauso, con quella mentalità da bottegaio. O quando invece stai davvero condividendo qualcosa con me. Senza malizia, senza astuzie. Mi succede mentre ascolto Berlin di Lou Reed. Mille volte più una. E improvvisamente mi emoziono osservando che con me c’è chi lo sta ascoltando per la prima volta. Sorride e (non) capisce. Ci sono cuore e talento, nient’altro. Le uniche cose che cerchiamo, no? E allora noi Lou, lo rimettiamo di nuovo tutto da capo. Così, giusto per salutare.
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