COSIMA PAGANINI | La cultura è morta. Chi di voi non ha assistito ad almeno un funerale della cultura con noninvitati muniti di catafalchi e invitati che biasimano la mancanza di buon gusto dei necrofori, mentre altri invitati ne attribuiscono la colpa a quella pulsione di morte che funesta la civiltà da più di un secolo? Ma tant’è, parafrasando la moda die Leiche ist das neue Schwarz (il tedesco funziona sempre se ci si deve mostrare colti). Un cadavere sta bene con tutto e poi lo puoi mettere nell’armadio se non ti serve più. Per ora, sarà che si avvicina il giorno dei morti, si usa moltissimo. C’è il corpo del dittatore che svanisce davanti a 300 spettatori (e 300 la sera prima) ignari, chi di musica, chi di teatro, chi di tutto, e questi ultimi sono i migliori «‘ché sono riusciti a vedere lo spettacolo come un’opera totale senza sapere nemmeno chi era Wagner». E c’è stato Wilson in quella fantomatica unica rappresentazione per pochi che ricordava un po’ il Corvo (il film), senza nessun effetto sorpresa, in quanto di vita il maestro non ne ha mai mostrata troppa; e poi la cantante italiana sorella dell’altra cantante italiana che si era sposata col dio del tennis, revenant per opera di uno scrittore italiano già apprezzato, chissà perché, in un’esibizione, che, ora possiamo definire in memoria, di un altro cantante famoso famosissimo. Americano come quella poetessa santificata che non potrà mai morire per volontà delle legioni di anoressiche, sorelle ideali dello scrittore-russo-nichilista-esteta che muore oscenamente in scena invece che spararsi in ‘osceno’. E c’è la famosa attrice morta forsesuicida forseuccisa che si è esibita in una festa privata (ma anche un po’ pubblica) nelle carni di una performer che non si capisce se canta male di suo o per fedeltà alla defunta (che in fondo così male non cantava).
Alla festa c’era comunque di peggio: camerieri che ti dicevano che il vino era finito e ti veniva in mente quel genere di feste di quand’eri bambino quando la fanta finiva subito a meno che non eri il figlio del notaio; e ancora, venditrici di bamby e gnometti che a Milano fanno una vita grama e ti attaccano un bottone per dirti che in provincia il bamby e lo gnometto ce l’hanno tutti perché lo regalano quando ti sposi, o ai figli universitari fuori sede, e chi ce l’ha lo fa vedere, mentre quei pochi che sono riuscite a piazzare in città giacciono nascosti nei ripostigli… E tu rispondi: bamby? È mainstream. Meglio kiiwood, il concorrente giappo-tedesco che costa anche 200 euro in meno e che bamby proprio no, meglio addirittura un qualsiasi superfrullatore da centro commerciale del sabato pomeriggio (una così ci passa tutto il pomeriggio del sabato nei centri commerciali). Costa 10 volte meno e non fa provincia, e mica siamo casalinghe disperate che dobbiamo avere elettrodomestici che funzionano. Ma se tu piazzi bamby come mai sei a questa festa? E ti risponde: ma perché a volte vendo anche kiiwood… nella scatola dei bamby. E allora ti spiega che il problema è la scatola, che queste sciattone con le scarpe dal nome tedesco usano tutte delle belle scatole. E tu allora: bello? Ma Muccia docet: «La bruttezza è attraente ed eccitante. La ricerca della bruttezza, per me, è molto più interessante dell’idea borghese della bellezza». Mentre dici questo ti guardi intorno e vedi che davvero di bellezza in giro non ce n’è troppa e le muccie sono ovunque.
E poi si è fatto tardi e mentre te ne torni a casa nella car-zucca ti domandi: come faremo senza la cultura (o meglio il suo cadavere) quando tra qualche giorno, passata la festa, dovremo rimetterla nell’armadio?
Quasi certamente non se ne accorgerà nessuno perché nel frattempo la scatola Qualità ha già sostituito il corpo morto Cultura. Sono diventati sinonimi come ai tempi di kultur e civilisation (che non è civilization di Sid Meier) e usiamo la parola Qualità quando ci vergogniamo troppo di nominare la Cultura, e un brivido ti percorre mentre un branco di ragazze col mal di luna e ragazzi lupo ci attraversano la strada e ti ricordano quando halloween non esisteva, ma è solo un brivido, pensando a domani.
I riferimenti stavolta trovateli voi, se volete.
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