EMANUELE TIRELLI | Qualcuno ha deciso che è necessario girare un film su John Fante. Che al cinema manca un film su John Fante. Però è meglio se andiamo con ordine. Ci sono Bukowski, Fante e Faulkner nella camera di una clinica. E non è una barzelletta. Ok, Faulkner è fisicamente assente, ma viene richiamato più volte e con insistenza, quindi è proprio come se ci fosse. John Fante è ricoverato in questa clinica dove vivrà i suoi ultimi giorni di vita (cieco e senza gambe per il diabete) e dove detterà il romanzo Sogni di Bunker Hill alla moglie Joyce. Bukowski lo considera uno dei più grandi autori che siano mai esistiti. Il migliore. Un punto di riferimento. Un Dio. Fante lo conoscono in pochi, mentre Bukowski, ‘mbriaco e buono, ha molto successo, è un autore simbolo ed ha anche un certo peso, tant’è che minaccia il suo editore: “se non ripubblichi Fante, non ti consegno il mio prossimo libro”.
Che che se ne dica, che si rispettino o meno i gusti, la prosa di Bukowski non ha niente a che vedere con quella di Fante. Anzi, forse la prosa di Bukowski non ha niente a che vedere nemmeno con la poesia di Bukowski. Comunque i due sono lì, in questa stanza dove l’autore di Chiedi alla polvere tirerà le cuoia e dove non sa che un giorno morirà di nuovo per il film con Colin Farrell e Salma Hayek, perché quella pucciosa e picciosa storia d’amore lui non l’ha mai scritta. Perché Arturo Bandini, alter ego di Fante e quindi tozzo e nodoso, gli mollerebbe un bel cazzotto sul naso a Colin Farrell e pure al regista Robert Towne e magari pure ad Alessandro Baricco per aver scritto quella prefazione. Senza dimenticare che lo scorso agosto il regista francese Charles Guérin Surville, come dicevo all’inizio, ha dichiarato di voler girare in Molise alcune scene del suo nuovo film ispirato alla figura dello scrittore italo-americano, con gli attori Olivier Marchal e Ornella Muti. E quindi i cazzotti e i manrovesci potrebbero anche aumentare a dismisura.
Bukowski invece è sempre stato raccontato così come è. Certo, magari anche lui è stato incompreso e di sicuro, dopo averlo letto, molti hanno partorito la brillante idea: “Voglio scrivere! Ho deciso che voglio scrivere perché se può scrivere Bukowski posso farlo anche io”. E invece no. Sarà anche divertente leggere “rutto, cazzo, tette, scolo”, ma scrivere è un’altra cosa. Ad ogni modo, in questa stanza di una clinica di Los Angeles dove tutto durerà fino alla primavera del 1983 Henry Charles Bukowski va a trovare il suo amico John Fante e si sente dire che lui, John, ha lavorato a Hollywood nello stesso periodo in cui c’è stato anche William Faulkner. Sì, perché alcuni autori americani erano letteralmente corteggiati dai dollari del cinema e non sapevano dire di no alla possibilità di comprare una casa a Malibu, avere un conto in banca sicuro e non rischiare di tornare a vivere nelle topaie di Los Angeles. Quindi il cinema per loro era motivo di benessere, sicuramente, ma anche di grandi frustrazioni, perché li allontanava dal loro vero e più sincero amore: la letteratura.
Allora Fante dice a Bukowski che quando Faulkner lavora a Hollywood c’è anche lui. E che Faulkner è il peggiore di tutti ed è sempre ubriaco lercio. A volte fa addirittura fatica a entrare nel taxi da solo. Anche Fante alza spesso il gomito, un po’ per la frustrazione di non avere successo come scrittore, un po’ perché molti autori americani l’alcol se lo portano dietro dalla gioventù. E anche Bukowski non s’è mai fatto pregare per scolarsi una confezione di birre. Però Faulkner se ne va da Hollywood, lascia, mentre Fante non ha il coraggio e resta lì. Faulkner è il suo punto di riferimento. Faulkner scrive come avrebbe voluto scrivere lui, tant’è vero che lo fa dire anche al suo Arturo Bandini. Faulkner è per Fante quello che Fante è per Bukowski. Allora Bukowski gli fa un regalo, gli dice “tu scrivi bene come Faulkner” e riporta tutto quello che vi ho raccontato nella poesia “Small conversation in the afternoon with John Fante” che forse è meglio di tanti film che potrebbero girare su di lui.
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