GIULIA INDORATO | Secondo il diritto italiano, ogni persona deve dichiarare la sua residenza: una, sola e indivisibile. Non importa dove, perché o per cosa: l’importante è dichiararlo. Congiuntamente allo stato di residenza, procedono negli anni i mutamenti di stati civili e in taluni casi cifre da capogiro. Basterebbe ricordare i coniugi Trump: la famosa Ivana, lasciata dopo quindici anni di matrimonio (i riferimenti a storiacce extraconiugali si sprecano) chiede milioni di dollari e proprietà. Cornuta sì, ma con immobili al seguito (come le lumache).
C’è chi decide di rimanere chiuso in Casa, sotto l’occhio di attente telecamere ed accorte strategie di marketing (che osano citare senza pudicizia l’opera di G. Orwell). Mobilio lussuoso, cerbiatti a primavera svoltando ogni angolo, fiumi di lacrime, scherzoni, cameratismo, omicidi tentati e sventati, amori usa e getta, tette, culi e indice Auditel alle stelle (nelle prime edizioni). Da quella Casa nessuno vuole uscire.
Poi c’è chi decide volontariamente di spostarsi, ma non volendo legami identitari con l’ambiente, rimane impantanato tra la modulistica sanitaria e quella comunale. Persevera il richiamo alla lumaca. Essere invertebrato che lascia una scia di muco al suo passaggio. E’ dotata di due tipi di corna (antenne con occhi alle estremità e tentacoli sensoriali) e causa grossi danni ai vegetali in coltura. Non si muove in branco. La lumaca ha la sua casa sul groppone, edificio fai da te non Ikea, garanzia di protezione dal mondo esterno. Potrebbe essere considerata parente dell’essere umano, che lascia il segno del suo passaggio con vari mezzi (costruzioni, deviazioni, gallerie, immondizie) e distrugge luoghi in cui si insedia. L’essere bipede ha momenti di vita sociale, necessità di condivisione, ma è fondamentalmente solo. Dettaglio non trascurabile: niente casa a portata di gobba.
Ha forse centrato il punto della questione con le sue Flying Houses l’artista francese Laurent Chehere. Vecchie case volanti, amovibili, in cui tenere affetti, affanni e affettati. Strutture che spostandosi non scalfiscono l’IO territoriale degli inquilini. Niente contatto con il contorto territorio e le sue regole, bypassare confini e poteri. Nessuna legge da rispettare, mobilità totale. Il dittatore orwelliano è presente anche qui, sotto forma di graffito sulla facciata della Red Balloon, ma non fa paura e appare un gradito tributo.
L’Arte ha la risposta agli interrogativi dell’anima (e del codice civile) oppure la residenza non esiste? Forse è solo un appellativo che si dà ad un’idea astratta, un posto a cui piace pensare nei momenti di umana tristezza, a cui guardare pensando che l’attuale spiacevole realtà è solo passeggera e la serenità ci aspetta sempre lì (a “casa”). In questi giorni di infinita compilazione moduli e di attese allo sportello anagrafe, mi assalgono dubbi e montano turbe. Sognando cieli pieni di edifici, la realtà mi sbatte in faccia un grande interrogativo: “Signorina é sicura di voler sposare la residenza?”