ELENA SCOLARI e RENZO FRANCABANDERA | Partirono in due ed erano abbastanza. Antropolaroid di Tindaro Granata al Sala Fontana a Milano. L’anno scorso all’Elfo successone. E anche qui la sala è piena per uno spettacolo di narrazione di una classicità cristallina. Lui, due fari, un lenzuolo,la sedia. Un trentenne e poco più di talento, che racconta attraverso la storia di una famiglia proletaria, la sua, le vicende della Sicilia da fine ottocento ai giorni nostri. Lunghi applausi, alla fine.
Lui: allora?
Lei: così così. Per me la granata non è esplosa.
Lui: come così così? Come non è esplosa? Eccola, la solita che c’ha da dire. Sentiamo…
Lei: titolo del genere che non se ne può più. La cosa peggiore era una claque assurda che ha riso sguaiatamente e continuamente a sproposito, che mi ha molto infastidito e anche assai disturbato la visione.
Lui: ma perchè? Dai Antropolaroid è un po’ vintage ma non è brutto. Resta impresso, e poi scusa ma mi pare che questo tuo inizio di riflessione nulla abbia a che vedere con uno spettacolo che invece è riuscito a zittire un numero di studenti portati qui dall’insegnante dem di turno, e che però dopo la raffica di “shhh!” iniziale , tipica dell’adolescenza, sono rimasti inchiodati da una narrazione viva, sincera. Si, tradizionale, ma in fondo ben recitata. Con ritmo. Non puoi negare. Dai dimmi due parole concrete.
Lei: in sintesi penso che lui sia bravino, ma non da segnalare per questo, quello che mi è piaciuto di più è la drammaturgia, un incastro secondo me ben studiato, abbastanza complesso. però fa troppo il verso quando interpreta i personaggi, viene da dirgli “Tindaro: anche meno”
Lui: beh, sempre diminutivi, diminutivi. La drammaturgia è un incastro di storie quasi manzoniane prima e via via di letterarietà novecentesca, fino a dialogare con onirici approdi di teatro contemporaneo. E’ diacronico non solo nella storia ma anche nel percorso che fa nel letterario con cui per tutta la drammaturgia dialoga. Lui è bravo. I bravini non tengono tutti zitti per un’ora e più a sentire pezzi interi in siciliano stretto, recitato con l’aiuto di una maglia che diventa manta della nonna, giacca del nonno e bandiera al vento. A Cesare quel che gli è dovuto. Se proprio vuoi criticare sposta il fuoco altrove…
Lei: si, beh, per me ha fatto delle pessime scelte musicali, pessime, banali e nazionalpopolari nel senso peggiore, e deve licenziare il fonico. Idee sceniche non ce ne sono quasi, anzi, l’unica è piuttosto trita (Libiamo nei lieti calici mentre lui se ne va in giro ondeggiando col lenzuolo durante una festa da ballo…)
Lui: si, beh (le fa un po’ il verso, ndr), se uno fa uno spettacolo stile Baliani, nu faro e na seggiulilla, che idee sceniche vuoi che abbia. Anzi è proprio la povertà di scena a far esaltare la parola. Non so, io esco contento da uno spettacolo onesto, che non vuole ammiccare, recitato con passione, non artefatto, e senza furbizie da analfabeti di teatro allo sbaraglio. E’ uno spettacolo che rimane invece fresco ed avvincente, una melagrana spaccata sul tavolo ad ognissanti.
Lei: rimane una buona storia, alcuni momenti belli, quelli più teatralmente spogli, una saga familiare tragica e simbolica e un bel finale. da lasciar respirare di più, però.
Lui: che donna razionale. Sul respiro sono d’accordo. Un po’ meno, si, non era necessario dire proprio tutto tutto, e quell’onirico finale, della nonna che biascica un futuro impossibile, è un passaggio bello che poteva essere strada anche per altri momenti dello spettacolo. Ma il ragazzo ha tempo per crescere. A inizio anno il nuovo spettacolo al Teatro dell’Elfo. Si va? Però vieni tranquillina eh… Ah, senti, bravina, mi devi una cena o sbaglio? Non ci portiamo troppo avanti con la promessa, che poi ce la scordiamo. Io mi butterei qui in una trattoria zona Isola. Bomba o non bomba.
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