soccombenteMARIA PIA MONTEDURO | Thomas Bernhard tra il 1983 e il 1985 scrive “Il soccombente” (“Der Untergeher”), primo atto di una trilogia che lo scrittore austriaco compose dedicata alle arti (musica “Il soccombente” appunto, teatro “A colpi d’ascia” e pittura “Antichi maestri”). Nel romanzo in questione, ridotto a forma teatrale da Ruggero Cappuccio, un io narrante (Roberto Herlitzka) in un lungo e, per certi versi, estenuante flusso di memoria racconta il suo incontro al Mozarteum di Salisburgo, a un corso di interpretazione pianistica tenuto da Vladimir Horowitz, con il pianista Wertheimer e con Glenn Gould, universalmente riconosciuto come uno dei maggiori interpreti musicali del ‘900, se non dell’intera storia della musica. Il soccombente, colui che cede alle pressioni della vita, è Wertheimer, secondo la spietata, ma molto realistica definizione, che Gould darà del suo compagno di studi. Gould è un genio, vuole diventare (e ci riesce) un prolungamento dell’oggetto-pianoforte, non uno che suona il pianoforte, ma il pianoforte stesso, attaccato maniacalmente allo studio, alla ricerca della perfezione interpretativa.
L’io narrante dello spettacolo (Herlitzka, impeccabile come sempre) racconta come si sviluppano le vite di tre giovani studenti: Gould diventerà il grande interprete che si conosce, soprattutto delle Variazioni Goldberg di Bach; Wertheimer sceglierà il suicidio, scatenato – forse – dalla morte per ictus di Gould; l’io narrante abbandonerà la musica, quasi infastidito, ma sopravviverà al ciclone Gould. Il testo bernhardiano, così come lo spettacolo diretto da Nora Baldi, sviscera il perché e il come qualcuno sia quasi un predestinato per bravura e determinazione: Gould non ha bisogno di fare scommesse sul proprio futuro, di fare progetti, perché è, ontologicamente in sé, un artista, un grande artista. Il testo, e la riduzione teatrale insieme, possono essere visti anche come una magistrale variazione romanzesco-teatrale sul tema della grazia e dell’invidia, mediamente riconducibili a rapporto Mozart/Salieri, ma ancor più sul tema terribile del non riuscire a essere.
Gould vive la musica, Werheimer non sa neppure vivere la vita, l’io narrante osserva, quasi disincantato, le alterne vicende dei suoi ex-compagni salisburghesi. Il tono è sempre quello tipico della Weltanschauung di Berhnard: spiazzante, alieno, spesso quasi dada, che non risparmia critiche a come il mondo – anche quello ufficialmente colto – conservi delle grandi menti pensanti solo aforismi, dotte citazioni, banalizzando l’essenza del pensiero umano. Il tutto corroborato da una scelta registica che presenta l’esposizione dell’io narrante come una lezione, con tanto di lavagna e gessetto.
L’io narrante, perno di una narrazione che riattiva il passato e àncora il presente al passato stesso, è coadiuvato da un’inquietante e sfuggente personaggio (la pur brava Marina Sorrenti) che interpreta una non ben identificata figura femminile (la memoria? La Musica?), che poco aggiunge all’icasticità del testo e all’intensa interpretazione del protagonista. Come sempre Bernhard, affascinato da figure borderline e dal tema della morte, regala una pagina indimenticabile, consegnata, per interposta persona di Roberto Herlitzka, all’attenzione dello spettatore. In questi casi è quasi obbligatorio consigliare “spettacolo da non perdere”…

Per saperne di più:

www.teatroeliseo.it

www.youtube.com/watch?v=ajASTZYhYc4