stanza a sudVINCENZO SARDELLI | Tre bizzarri viaggiatori costretti a coabitare in un ambiente angusto. Dove finiscono per scatenare allucinanti istinti repressi.

Dopo aver aperto la stagione del Teatro Binario 7 di Monza, sbarca al Libero di Milano, fino al 9 dicembre, Una stanza a Sud, singolare spettacolo pulp di Corrado Accordino.

L’ambientazione da foresta pluviale amazzonica, lussureggiante e inospitale, è il residuo amarcord di un percorso compiuto da Accordino vent’anni fa in America latina, sulle orme dell’analogo viaggio, tra romanticismo e verità, del giovane Ernesto Guevara.

I tre protagonisti (un assassino, un biologo, un fotografo) sono identificati da tre distinti colori: un vigoroso rosso sanguigno, un verde straniante, un marrone violaceo, ibrido degli altri due, miscuglio dei loro caratteri ingarbugliati. I costumi di Maria Chiara Vitali, ispirati a Kill Bill e al mondo fumettistico di Dick Tracy, amplificano la potenza trasfigurante dei personaggi.

Una stanza a Sud sfugge ai cliché del teatro tradizionale. Accordino, aiutato alla regia da Valentina Paiano, attinge piuttosto alla grammatica cinematografica: fermo immagine, flashback, piani lunghi, una sceneggiatura tra giallo e noir: dialoghi serrati, ritmi veloci, rumori espressivi e d’ambiente, continui colpi di scena. Poi citazioni: dal cinema (Le IenePulp fictionIndiana JonesSaigonPlatoonApocalypse Now); dallo stesso teatro (Harold Pinter); dalla Bibbia (il Qoelet); dalla filosofia (Rousseau, Kant, i “maestri del sospetto”).
È un sovraccarico di codici e generi, il dramma, la farsa, il grottesco. Con un abbrivo di pioggia e tuoni, atmosfere esotiche, l’uso dell’inglese all’inizio di una trama che si dipana come lampo all’indietro. Un’accumulazione, che non diventa guazzabuglio.

Parte piano lo spettacolo. E ti preoccupi, perché viaggia intorno alle due ore. Poi decolla, vola, plana. È spiazzante, non capisci mai dove vada a parare. Eppure il filo c’è, autoreferenziale, coerente con l’indole stravagante dei protagonisti.
Un mondo capovolto. Con zattere-nubi a coprire il cielo. Con il mare alto sulle nostre teste. Con le nostre teste in alto mare. Con suoni (selezionati da Raffaele Mezzanotte) che variano dal marziale cadenzato della Cavalcata delle Valchirie ad armonie tribali, alle note oniriche dei Doors, fino all’esilarante sigla cartoon Daitarn III che, insieme a fari abbacinanti puntati sulla platea, sbigottiscono i propensi al sonno.
La ragione genera mostri anche in piena veglia, nelle luci lunari di Chiara Senesi che cristallizzano uno stato d’infinita attesa.

Ha osato, Corrado Accordino. Questo spettacolo ambizioso era utile testarlo al Binario 7, davanti a un pubblico che si riconosce quasi a occhi chiusi nelle scelte del suo direttore artistico. Ma qui passa a tutti il messaggio di un’umanità ghettizzata, degenerata a livello di bestialità antropomorfa. È la solitudine che disumanizza. I bravi interpreti (Pasquale di Filippo, Giancarlo Latina, Alessandro Castellucci) sono zattere dove tutto è possibile, portate dal vento in ogni direzione.
Uno spettacolo che aiuta a osservare il mondo da un altro punto di vista. In fondo, tutti dovremmo abituarci a nuovi codici di sopravvivenza. Ad accettare quel po’ di compagnia, in luoghi dove è ancora possibile “uscire dal campo”.

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