NICOLA ARRIGONI | «Per noi il teatro ha ancora senso di esistere se può ancora essere specchio della società in cui vive. Della realtà in cui è immerso. Del mondo che esamina e che lo genera», scrivono Enrico Castellani e Valeria Raimondi di Babilonia Teatri. E a dare concretezza a questa professione di estetica è quanto Castellani ha dichiarato in merito allo spettacolo Pinocchio, realizzato con l’associazione Gli Amici di Luca: «Volevamo fare Pinocchio, ma poi le storie di Paolo, Riccardo e Luigi hanno avuto la meglio e la storia collodiana è rimasta sullo sfondo». Paolo, Riccardo e Luigi sono la realtà che irrompe nella finzione del teatro e lo fa deflagrare, sono i corpi strappati alla morte, sono il risveglio dal coma. «Spesse volte abbiamo la netta impressione che la parola abbia un potere deflagrante. Che i nostri corpi sulla scena non abbiano la possibilità di raggiungere un grado di verità e di violenza in grado di eguagliare la forza della parola – scrivono Castellani e Raimondi -. Il peso specifico delle parole risiede nella modalità con cui vengono accostate e nell’atteggiamento con cui vengono dette». Parole e corpo in Pinocchio erano un tutt’uno, le parole vestite dei corpi hanno fatto cortocircuito estetico, dando emozioni e costruendo verità. Forse proprio nei momenti di passaggio – sia questo la fine di un anno e l’inizio del nuovo – interrogarsi sul linguaggio, mettere alla prova significato e significante rappresentano un modo per cominciare a elaborare un nuovo senso di realtà, iniziare a scardinare quella esistente per inventarsene un’altra, per ipotizzarne – attraverso il linguaggio della scena – un’altra possibile, più vero, poetica, autentica, in grado di sollecitare un’etica dello stare al mondo.
In questo senso Babilonia Teatri rappresenta e incarna – forse più di altre compagnie dell’ultima o penultima generazione teatrale – l’urgenza di dire la realtà, di mostrarla attraverso quel particolare punto di osservazione, o meglio messa in azione che è il teatro. Non è un caso che parlando di Babilonia Teatri si parli in modo quasi esclusivo di linguaggio, laddove parole e toni, corpo e presenza sono un tutt’uno esplosivo, come è accaduto nel recente Pinocchio che pure segna uno stacco non indifferente dai precedenti lavori. E non solo perché in scena c’erano Luigi, Paolo e Riccardo, uomini riemersi dalla non-vita del coma, ma perché il punto di partenza è altro rispetto alle parole che fanno mondo, un po’ come sta accadendo con la discussa Lolita, in tournée in questi mesi. A interrogarsi sul linguaggio dei Babilonia Teatri è Stefano Casi nel volume Per un teatro pop, edito da Titivillus (194 pagine, 16 euro), cui pare logico affiancare Almanacco I testi di Babilonia Teatri di Enrico Castellani e Valeria Raimondi, sempre per i tipi di Titivillus (118 pagine, 12 euro). Le due pubblicazioni danno conto di una professione estetica ed etica documentata nell’analisi critica dell’attività di compagnia e nella proposta editoriale dei testi della compagnia: The end, Made in Italy, Pornobboy e Underwork, pubblicati in un ordine inverso rispetto alla loro genesi scenica. Babilonia Teatri con il loro procedere per accumulo, con la tentazione stilistica e non solo di catalogare, elencare la realtà sono espressione del disagio della civiltà contemporanea, incarnano con poetica determinazione la condanna che accomuna tutti noi: costretti ad elencare ciò che ci circonda, costretti a un ‘collezionismo verbale’ che ci possa tracciare una mappa concettuale e di pensiero di una realtà che non può essere più univoca, ma che si declina e si realizza negli accostamenti verbali, nel ritmo del dire, nello spazio esploso di un teatro che graffia e va in cerca di un pensiero sulla realtà. E dunque non è un caso che Almanacco si apra con The end, il testo che al fianco di una elencazione della realtà, di quella pulsione a catalogare «svela risentimenti emotivi più partecipati e apre ai toni di un’invettiva che attinge a riferimenti biblici e poetici per invocare un azzeramento sostanziale della spettacolarizzazione mediatica, in vista della rinascita autenticamente vissuti, da affidare alle vite future», scrive Cristina Valenti nella nota introduttiva La fabbrica della realtà.
La realtà catalogata, elencata non può bastare. Sulla pagina scritta come in teatro le parole di Babilonia Teatri scottano, sono dei pugni nello stomaco, sono brandelli per un tutto, sono lacerti di carne e anima che ci rappresentano e in cui – con ironico fastidio – ci rispecchiamo. I ragazzi di Babilonia Teatri sono lì a testimoniare la nostra deriva, sono lì a gettarci in faccia rabbia e disillusione, ma mai la rassegnazione. Sono degli inguaribili ottimisti Enrico Castellani Valeria Raimondi, lo sono nella messinscena della morte senza risurrezione, lo sono nella maternità compiuta di Valeria Raimondi che dà prospettiva e futuro e sconfigge la morte. In questa umanissima voglia di ‘resurrezione possibile’, di un’escatologia laica che ci dia senso e finalità, oltre che consapevolezza della nostra finitudine, non si può non recuperare nella memoria l’immagine di quei tre uomini/burattini in Pinocchio che nel loro muoversi a fatica commuovono, corpi che tornano ad agire, mossi da un burattinaio invisibile, mentre a lato della scena l’abbondante Pinocchio di Luca Scotton che li guarda, come se tutti loro fossero quel burattino lasciato in disparte dopo che finalmente Pinocchio s’è fatto bambino… In questa immagine – a suo modo una resurrezione possibile – la realtà elencata di Babilonia Teatri diventa possibilità agita, nuovo mondo, nuova opportunità in cui il teatro esiste intensamente perché dimostra – ogni sera – di essere una realtà accresciuta, una realtà possibile, proposta, da accettare o rifiutare, ma difficile da ignorare.
Stefano Casi, per un teatro pop. La lingua di Babilonia Teatri, Titivillus, 2013, pagine 196, 16 euro.
Enrico Castellani – Valeria Raimondi, Almanacco. I testi di Babilonia Teatri, Titivillus, 2013, 118 pagine, 12 euro.
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