f.gifuni - Foto Marco Caselli NirmalLAURA NOVELLI | Lunedì 16 dicembre. Il teatro Vascello di Roma è affollato di gente e il pubblico impiega diversi minuti a prendere posto in sala. Tanti i nomi noti del mondo della cultura e dello spettacolo. Tutti qui per l’evento conclusivo della rassegna “Le vie dei festival”, quest’anno coraggiosamente ricca e originale malgrado la crisi. Stasera Fabrizio Gifuni recita-interpreta-spiega-racconta-dice le parole di Gadda, il suo Gadda, in una lezione/spettacolo intitolata “Gadda e il teatro, un atto sacrale di conoscenza” da lui stesso ideata e già proposta in diversi contesti. Un lavoro anfibio, a metà strada tra la conferenza e l’assolo recitativo, la distesa dizione didattica e l’articolato impasto espressivo della recitazione; un lavoro che sembra provenire direttamente da quel “L’ingegner Gadda va alla guerra o della tragica istoria di Amleto Pirobutirro” del 2010 dove, incrociando opere gaddiane quali “I Diari di guerra e prigionia” ed “Eros e Priapo” con l’”Amleto” di Shakespeare (su regia di Giuseppe Bertolucci, come era stato per il precedente “’Na specie de cadavere lunghissimo” dedicato a Pasolini), il bravo attore romano ci regalava un implacabile j’accuse contro la demenza della guerra e della tirannia fascista: un lucido affondo nel dolore privato e collettivo di un popolo, il nostro, ridotto in macerie e dunque chiamato, ieri come oggi, a un riscatto necessario.

La prova di stasera, non a caso, riparte da qui. Allarga l’esplorazione intellettuale ad altri testi del grande autore milanese e ne cuce insieme i diversi brani facendo esclusivamente leva su un corpo-a-corpo con la lingua che non si accontenta di restituirla nella sua forza e nella sua complessità (“dissipiamo il mito – dice Gifuni – che la lingua di Gadda sia complicata, il suo mistero non sta nell’essere difficile bensì complessa, leggibile a livelli diversi”) ma che intende anche spiegarla, raccontarla dall’interno della biografia gaddiana stessa, partendo dai nessi tra vita reale e vita letteraria, dai rapporti tra opera e opera, “perché questa scrittura nasce essenzialmente da una ferita” (quella della prima guerra mondiale).

Solo in scena, avvolto nel vuoto dell’ampio palcoscenico (lo riempiono un microfono ad asta, una sedia e un tavolino con sopra dei libri) e accompagnato da qualche gioco di luce, l’interprete si fa dunque maestro e dicitore, alternando momenti di diretta interlocuzione con il pubblico a momenti recitativi decisamente sovraesposti, quasi espressionistici. Non cerca una via di mezzo, Gifuni, ma si carica di quella lingua, con tutte le sue inflessioni dialettali, le sue virate surreali, i suoi barocchismi, i suoi neologismi, e la traduce in gesto, voce alterata (dal milanese al romanesco al campano), mimica decisa: corpo – appunto – complesso.

Il repertorio spazia in numerosi titoli, anche poco noti, e sembra organizzato con il chiaro intento di far capire la genesi dei capolavori gaddiani nonché il progressivo sviluppo di alcuni temi forti. La drammaturgia inizia con il racconto “Quando il Girolamo ha smesso” (edito nella raccolta “L’Adalgisa”) che indaga “il plasma germinativo della gente e dei milanesi” raccontando le vicende della famiglia Cavenaghi e poi passa alle splendide note“pre-letterarie” del “Diario di guerra e di prigionia” (dove Gadda rievoca la drammatica esperienza di Caporetto, la sua prigionia in un campo tedesco, la morte del fratello) fino ad arrivare ad alcune pagine de “La cognizione del dolore” (“qui lo scrittore è un Amleto novecentesco”) e ad alcuni scorci de “Il pasticciaccio brutto di via Merulana” ed “Eros e Priapo”. C’è tempo poi per riflettere – e sorridere – grazie ad altri brevi racconti, uno dei quali dedicato proprio al teatro (o meglio, all’opera lirica) e spumeggiante di arguta ironia. Nel complesso, dunque, un percorso gigantesco per linguaggio, personaggi, idee, riflessioni, snodi interpretativi. E in questo viaggio, atteso a Torino il 24 gennaio, Gifuni (www.fabriziogifuni.it) non perde mai la bussola; padroneggia anzi la sua materia come se la possedesse nel suo dna e la volesse svelare, far nascere, sotto gli occhi del pubblico. A tratti si avverte un eccesso di istrionismo un po’ stonato; elemento che tuttavia non compromette l’indubbio valore culturale di un’operazione/“idea-zione” forse non adatta a tutti i pubblici ma che certamente può provocare in tutti i pubblici innumerevoli curiosità intellettuali. Per cui meriterebbe di essere vista da tanti, tantissimi giovani.

1 COMMENT

  1. Un corpo- a corpo con la lingua. Evviva. Davvero bravo Gifuni e interessantissima l’operazione su Gadda, un genio per pochi – forse- complesso sicuramente e proprio perciò così accattivante e “invitante” dal mio punto di vista. Grazie Annapaola

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