1BRUNA MONACO | Germania, Francia, Italia. A cavallo fra queste tre nazioni si muove Der Tod in Venedig/Kindertotenlieder. La regia è tedesca, di Thomas Ostermeier. Italiano lo sfondo e il terreno in cui è germogliata l’idea. In Francia poi lo spettacolo è stato prodotto e realizzato. Durante la Biennale di Venezia del 2011 Thomas Ostermeier fu invitato a tenere un laboratorio per giovani attori provenienti da varie nazioni. Tema degli incontri, i sette peccati capitali della contemporaneità. Ostermeier pensò alla pedofilia, e a La morte a Venezia dell’illustre connazionale (Der Tod in Venedig il titolo originale). L’occasione per continuare a scandagliare un tema e un testo così caldi si presentò a Rennes l’anno successivo nel quadro del Festival Mettre en scène, luogo ideale d’esplorazione per drammaturghi registi e coreografi che non vogliano smettere di interrogarsi e interrogare i linguaggi teatrali, quelli noti e quelli ancora sconosciuti.

Questa breve genesi di Der Tod in Venedig/Kindertotenlieder che è stato in scena al Théâtre de la Ville di Parigi fino al 23 gennaio, ed è l’ultima tappa, per ora, di una breve tournée europea, era necessaria per inquadrare un lavoro così singolare, così difficilmente riconducibile alla fin qui nota “poetica” di Thomas Ostermeier. La sua fama degli ultimi anni è legata ai geniali adattamenti dei testi di Ibsen, ma il suo repertorio spazia da drammaturghi contemporanei come Sarah Kane, Lars Norén, Jon Fosse ai classici (Shakespeare, Brecht, Büchner). La sua specialità è leggere, secondo un’ottica nuova e sempre ficcante, il conflitto drammatico alla base dei testi. Una lettura innovativa, incurante delle interpretazioni che anni di critiche, esegesi e messe in scena hanno depositato sui testi originali. Ma sempre di drammaturgie si era trattato. Con Der Tod in Venedig/Kindertotenlieder, invece, Ostermeier lascia il terreno noto del conflitto drammatico e si fa largo nella psicologia di Gustav von Aschenbach, uomo di mezza età fatalmente attratto dal giovanissimo Tadzio. Il conflitto è tutto interiore, il testo di Thomas Mann è letterario e Ostermeier lo affronta senza “drammatugizzarlo”, dialogizzarlo: se nelle messe in scena precedenti, complice l’acutezza del drammaturgo Marius von Mayenburg, gli adattamenti testuali erano raffinati e persuasivi, qui il lavoro di riscrittura è meno pregnante. Interi segmenti del romanzo sono letti da una voce fuori campo che intessendosi ai Kindertotenlieder di Gustav Mahler (eseguiti in scena da un pianoforte e dalla voce dello stesso von Aschenbach interpretato da Josef Bierbichler) si fa colonna sonora della scena muta: i personaggi non interagiscono a parole ma attraverso sguardi carichi di pathos. Le parole, quando ci sono, sono irrilevanti, dette da personaggi secondari e si addensano prima di raggiungere le orecchie del pubblico in un brusio che va ad arricchire la tessitura musicale. L’importanza della musica è più significativa di quanto appaia. La morte a Venezia di Mann e i Kindertotenlieder di Malher costituiscono in egual misura il fulcro della narrazione ed è chiaro fin dalla bipartizione del titolo Der Tod in Venedig/Kindertotenlieder. Ostermeier non mira semplicemente a una trasposizione scenica del testo di Thomas Mann, tant’è che, per non essere influenzato nel lavoro, ha dichiarato di aver atteso che il suo spettacolo debuttasse prima di vedere il capolavoro di Visconti; la pedofilia come uno dei sette peccati capitali contemporanei è all’origine di questo spettacolo. I Kindertotenlieder, letteralmente “canto della morte dei bambini” sono allora una più o meno sottile allusione, pervasiva, all’assassinio dell’infanzia perpetrato dai pedofili?

Purtroppo però prescindendo dalla genesi dello spettacolo, se vi si assistesse senza informazioni sul suo processo di creazione, la questione pedofilia sarebbe poco intelligibile, nonostante ci sia qualche riferimento. Der Tod in Venedig/Kindertotenlieder è forse troppo cerebrale, manca dell’efficacia comunicativa che contraddistingue le precedenti produzioni di Thomas Ostermeier. Forse il sodalizio con Maja Zade (che firma la drammaturgia) non è ancora ben collaudato. Forse l’avvicinamento a un linguaggio nuovo ha bisogno di un periodo di assestamento: Der Tod in Venedig/Kindertotenlieder è più simbolico ed evocativo dell’Ostermeier classico, si conclude con la danza astratta e un po’ selvaggia di tre donne, sotto una pioggia di cenere. I risultati positivi di questa ricerca però, li vedremo presto senza dubbio, in uno spettacolo nuovo e più consapevole.

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