pranzoVINCENZO SARDELLI | Il diaframma tra attori e pubblico a teatro è sempre più labile. Siamo ormai abituati agli spettatori sul palcoscenico, o che attraversano lo spettacolo in percorsi multimediali o crossmediali. Però Pranzo d’Artista, raffinato esperimento tra cucina e narrazione proposto al Teatro dell’Arte di Milano dalla compagnia Alkaest, radicalizza l’incontro tra attori e pubblico. Tratto dal Pranzo di Babette di Karen Blixen, questo singolare spettacolo riprende l’idea del Convivio dantesco o del Simposio platonico. Pubblico e attori si ritrovano in un intreccio esoterico attorno a una tavola imbandita, nella condivisione di pane e vino.

Un saggio di training, misticismo e drammaterapia. Un contatto ravvicinato quasi eucaristico. Piacere del palato e diletto della mente. Il rito coinvolge 35 spettatori, protagonisti di un poema gastronomico. Il pasto si trasfigura in corrispondenza e sentimento. Tocca fedeltà e riconoscenza. Esalta i cinque sensi.
Lo spettacolo inizia quando non te l’aspetti. Atmosfere soffuse, davanti a un calice di prosecco. Parte il racconto che neppure avevi spento il cellulare. L’avventore con cui scambiavi due parole inizia a recitare, si svela, ti prende in contropiede. Esce dalla persona, entra nel personaggio.
Il pavimento diventa palco. Sembra un audiolibro, ti ritrovi catapultato nelle scene di vita di uno scorcio scandinavo di fine Ottocento. I personaggi prendono respiro. Spettatori in incognito e camerieri ci confondono nel gioco drammaturgico.
Sale la musica da pianoforte. Note corpose, Schubert, Debussy, Mendelssohn, Chopin, eseguite dal vivo dalla pianista Greta Malerba. C’è una sala da pranzo dietro le tende, dove la luce disegna chiaroscuri. C’è una lunga tavolata in legno grezzo, coperta da una nappa di cotone bianco. E un lampadario enorme, di filamenti argentati, da cui pendono tazzine, marmitte, mestoli, schiumarole, formine, arnesi vari da cucina. Sorrisi, inchini: mani gentili accompagnano alla mensa. La narrazione della Blixen entra nel vivo. Il pranzo di Babette è la storia di Martina e Filippa, due anziane signore figlie di un pastore luterano. La loro vita compassata, grigia, è sconvolta dall’arrivo di Babette, profuga francese in fuga da dolore e paura. La loro capacità di amarla ed accoglierla è ricambiata da Babette con un pranzo sontuoso.
Il valore di agape dell’atto di condividere pane e parole crea relazione.
Come in Chocolat, un’artista della pasticceria e della cucina cambia la vita di un’intera comunità. Come in Pranzo di Ferragosto, il cibo è occasione per sorrisi e segreti.
Il nostro spettacolo si chiude con la condivisione rituale di cibo. Ma i dettagli di quest’inconsueto epilogo sono nel misterioso contatto tra un maestro di cerimonia e il singolo spettatore/convitato, nei due giorni che precedono lo spettacolo. Per questo non è possibile acquistare i biglietti la sera stessa della replica, ed è necessario che ogni spettatore prenoti lasciando un recapito per essere contattato dal maestro di cerimonia.
È visibile l’impronta straniante di Kantor, in questo progetto in cui il suo discepolo Giovanni Storti, regista e attore recitante, trucca i luoghi da opere d’arte. E v’infila, a stretto contatto, attori e spettatori.
Storti anima spazi non convenzionali. Ne rivela identità, memorie, appartenenze. Lo accompagnano gli attori Paui Galli, Lorena Nocera, Erika Urban e Marco Pepe (maestra di cerimonia Marzia Loriga, sculture Roberta Colombo, spazio scenico Valentina Tescari).
Uno spettacolo elegante e comunitario. Sazietà del corpo e appagamento dello spirito coincidono. La frugalità esteriore lascia spazio a uno scambio interiore, ricco di emozioni e scoperte.

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