Il confronto con la guerra delle rane e dei topi potrebbe sembrare quanto meno ardito. In realtà lo è soltanto per la durata della contesa e non per l’acrimonia dello scontro. Per trovare l’origine della diatriba che sta occupando la stampa specializzata e non solo tra i due Mister Fabio Capello e Antonio Conte, celebri allenatori di calcio, occorre andare a ritroso nel tempo e, precisamente, all’anno del Signore 2004.
Antonio Conte calca ancora i campi verdi e non in cerca di margherite, Capello è già un allenatore affermato e subentra a Lippi alla guida tecnica della Juventus. Il bell’Antonio è in scadenza di contratto e aspetta il rinnovo per un’altra stagione: farebbe lo straordinario, non retribuito, raccattando i palloni dopo gli allenamenti e, all’occorrenza, darebbe una ramazzata negli spogliatoi, ma l’accordo salta per volere di Capello. Il povero Conte, disoccupato, è costretto a rilanciare: oltre allo straordinario offrirebbe un efficientissimo servizio lavanderia in cambio di un posticino nello staff. Anche questa volta Capello dice no.
Dieci anni dopo, i protagonisti sono sempre gli stessi. Capello, allenatore della Nazionale russa, mentre sorseggia un tè e vi intinge una piccola madelaine, si ricorda di avere una missione nella vita: mettere il bastone fra le ruote e – non solo – al suo Conte, rispondendo alla domanda più intelligente mai posta nella storia dell’umanità dopo quella se sia nato prima l’uovo o la gallina: “Cosa pensa della decisione di Conte di revocare il lunedì di riposo ai suoi giocatori, dopo il pareggio con il Verona?”
Inizia un’estenuante sequenza di botta e risposta. Entra in campo il più grande di tutti (in tema di tinture di capelli color ocra tramonto nel deserto), il Trapattoni nazionale, il vero valorizzatore dell’antica lingua babilonese: “A ridosso del rettilineo sorridere è difficile. Anche io, in questi momenti, andavo ai 320 all’ora. Un fatto umiliante e deprecabile!”
Il tecnico salentino, effervescente come un metronotte dopo un turno di lavoro, per offendere il suo antagonista gli dice che del suo periodo alla Juventus ricorda due scudetti revocati, salvo poi accorgersi che si tratta della squadra di cui è attualmente allenatore: i posteri non lo ricorderanno come allenatore aziendalista e dovrà sperare che i tifosi non lo riconosceranno mai per strada.
Si sa, uno quando è nervoso dice cose che non pensa o pensa cose che non dice. Anche qui , come in ogni Batracomiomachia degna di questo nome, ecco un intervento soprannaturale e dirimente. Pesante come un macigno (sul corretto utilizzo della lingua italiana), da un’emittente televisiva locale giunge un’entrata a gamba tesa. Una formosa ed esultante conduttrice annuncia: “C’è astice nell’aria!”