EMANUELE TIRELLI | La vera prima donna del Festival di Sanremo 2014 è il calo vertiginoso di ascolti accompagnato da una lentezza soporifera. Per il resto, parlando di canzoni, Arisa è la prima dei big e Rocco Hunt vince nella categoria Giovani. La conduzione di Fabio Fazio e Luciana Littizzetto fa registrare una perdita di quasi quattro milioni di telespettatori rispetto al 2013 e, ancora di più, al 2012. Quindi gli italiani criticano il festival e poi lo guardano, sì, ma in pochi.
L’edizione 2014 si apre con due dipendenti del Consorzio di bacino di Napoli e Caserta che minacciano di lanciarsi da una balaustra se Fazio non leggerà una lettera nella quale spiegano qual è la loro situazione. Qualcuno si chiede come potrebbe fare un Consorzio di Bacino ad avere 800 dipendenti senza evidenti problemi economici. Qualcuno ricorda che il problema è stato affrontato pochi anni fa. Per altri versi, invece, i fan del festival e di Pippo Baudo hanno un déjà-vu.
Per quanto riguarda la gara, funziona così: ogni cantante interpreta due canzoni che esegue una dopo l’altra. Il televoto decide quale debba essere esclusa e quale continuare. Un leggero spunto di riflessione sulla distanza tra il pubblico e gli addetti ai lavori è nel Premio della critica Mia Martini assegnato a Cristiano De Andrè per “Invisibili”, il suo brano scartato.
Le canzoni non sembrano destinate a passare alla storia. Forse solo a durare una stagione o, alla meglio, un anno radiofonico. Giuliano Palma con i ritmi in levare del suo “Così lontano” porta sul palco almeno un po’ di verve interpretativa. Poi i Perturbazione (“L’unica”) si aggiudicano il riconoscimento di sala stampa e tv, mentre Raphael Gualazzi e Renzo Rubino mettono in tasca secondo e terzo piazzamento generale. Il resto è poca roba. C’è Francesco Renga, grande favorito e con un certo appeal per il pubblico femminile, ma poco interessante artisticamente. C’è Riccardo Sinigallia che viene escluso dalla gara perché il suo brano non era inedito, chiede scusa e annuncia che non presenterà ricorso. Ci sono Noemi, Ron, Francesco Sarcina, Giusy Ferreri, Franki Hi-NRG e Antonella Ruggiero ancora meno pervenuti. Tutti in una grande media che si fa più o meno interessante a seconda dell’ascoltatore e soprattutto di chi li segue già, festival o non festival.
Ancora meno pervenuti risultano tutti i partecipanti dopo la serata delle cover. Venerdì ogni candidato introduce all’Ariston un omaggio alla canzone italiana d’autore. Ed ecco che Arisa rifà, in modo imbarazzante, “Cuccuruccucu” di Battiato, Renga presenta “Un giorno credi” di Edoardo Bennato, I Perturbazione “La donna cannone” di De Gregori, Ron “Cara” di Lucio Dalla, e così via. Gino Paoli, tra gli ospiti della serata, canta Tenco, Bindi e se stesso.
Allora la domanda è: tra venti anni quali canzoni potranno sostituire o quantomeno affiancare quelle di venerdì sera?
La risposta è in una riflessione puntuale di Red Ronnie di qualche mattina fa. Ci ricorda che Lucio Dalla, Vasco Rossi e tanti altri oggi non potrebbero esistere, perché quando hanno iniziato a fare dischi non vendevano quasi niente. Se le case discografiche non avessero creduto in loro per i primi anni, sarebbero finiti impiegati in tutt’altri mestieri. E, ancora, se quelli che oggi vendono e sono un po’ più interessanti vanno poi a riempire le giurie e gli staff dei talent show, quando trovano davvero il tempo per fare il proprio lavoro?
La stessa riflessione va fatta per la maggior parte degli ospiti: Raffaella Carrà, le Kessler, Franca Valeri, Renzo Arbore. Fanno all’incirca quattrocento anni, più o meno.
Passato batte presente a mani basse?
O quantomeno passato batte valorizzazione del presente. Che forse è ancora meno diverte e più angosciante.
Poi una serie di ospiti nazionali e internazionali accomunati dal tema della bellezza scelto per il festival, ma, considerando tutto, senza un reale appeal.
Sul versante giovani, sette nuove proposte che poi diventano quattro. Zibba, Diodato, The Niro, Rocco Hunt. Relegati in terza serata, quando invece avrebbero bisogno di maggiore visibilità. Vengono liquidati in poco tempo anche nel momento della premiazione. Peccato.
Rocco Hunt si commuove quando riceve il premio e viene invitato a cantare di nuovo la sua “Nu juorno buono”, un pezzo di speranza soprattutto per quella parte della Campania che soffre la politica dell’abbandono e dei rifiuti. Una canzone solare e fresca che, complice una serie di indizi, fa dire a tutti: bravo il giovane napoletano. E invece no, è salernitano. E Salerno non entra neanche nella Terra dei Fuochi citata nel brano. Quindi via con le polemiche. Ma almeno il pezzo si distingue, non è appiattito dall’orchestra e funziona. Funziona sì, al contrario di tutto il resto che invece fa molta fatica e chiude una settimana di kermesse sotto tono, poco incisiva e che darà un gran da fare agli organizzatori della prossima edizione per non ripetere il flop. Anche perché è vero che almeno hanno smesso di vincere i cantanti usciti dai talent e dai programmi della De Filippi, ma questo non basta ancora.