sarahVINCENZO SARDELLI | A raccontare la vita di Sarah Kane, drammaturga inglese morta suicida a 28 anni nel 1999, si rischierebbe di banalizzare. Oppure di entrare nella sua intimità con quel po’ di voyeurismo e volgarità. Personaggio maledetto Sarah Kane. Come gli artisti che producono un’arte fervida, urtante, che racconta la malattia dell’animo umano. E muoiono giovani.

E allora è meritevole Io sono Sarah Kane, monologo a intreccio di Paolo Scheriani, di scena all’Out Off di Milano con Nicoletta Mandelli e Camilla Maffezzoli. Un testo intriso di poesia e moralità, capace di sublimare, in una sorta di elogio della bellezza dell’anima, una vita dai risvolti spietati. Un’operazione che ricorda La canzone di Marinella di De André: una ragazza reietta, trovata morta in un fiume, riscattata attraverso la fiaba.

Spettacolo intenso e straniante. Come i video su tre maxischermi di Luca Lisci che scorrono sullo sfondo, immagini cosmiche e ritratti sfumati in bianco e nero. Evocano l’amore per il teatro.

Le musiche da cinema giapponese svelano in controluce l’impostazione della regia. Una tecnica da Nouvelle Vague: staccarsi dall’impersonalità di un teatro stantio e fasullo, puntare sulla realtà. Mostrare la vita non così come scorre, ma catturandone l’essenza.

La scena è un lastricato di mele rosse. La mela è allegoria ambigua, dal pomo della discordia al giardino delle Esperidi, fino all’edenica seduzione del peccato. Perciò, nell’arte barocca, la morte è scheletro che tiene in mano una mela: il prezzo del peccato è la morte.

Sul palco anche dieci sedie, che le attrici scompongono e ricompongono come in un domino creando movimento scenico. Le sedie preludono all’abbattimento della quarta parete: il pubblico salirà sul palco, entrerà nell’anima del personaggio.

Il gioco metateatrale è il fil rouge della pièce. Personaggio, attrici e pubblico, siamo assorbiti in un rito identificativo. Le attrici s’intersecano nella recitazione, scambiandosi ruolo e abito, sdoppiandosi o specchiandosi. Rivolgendo agli spettatori continue apostrofi.

Il rosso, il bianco e il nero sono i colori chiave dei costumi: sangue, latte e grumi; passione, purezza e morte.

Anche le luci, coni strappati all’ombra, disegnano piani introspettivi. Rompono la continuità attraverso successioni statiche, con narratrice unica e lieve sottofondo sonoro. Lo spettatore percepisce aspetti frammentati della realtà: la memoria che ognuno ha della propria vita è parziale, tronca. Come quando si guarda un album fotografico, i ricordi riaffiorano in modo aleatorio, con salti temporali. Le scene sono montate in modo da riprodurre l’intreccio disordinato dei pensieri.

La pièce ci introduce nel tormento di un essere umano. Nicoletta Mandelli e Camilla Mazzefoli si fanno da contrappunto, voce calda e intensa la prima, acuta e convulsa la seconda. Due stili, metafore di una vita sognante e corrosiva.

Scheriani reinventa Sarah Kane. Scava nei suoi vagheggiamenti adolescenziali, nel dialogo interiore con la madre. Evoca la sua passione per il teatro, l’atto creativo come nevrosi e impotenza. Invoca il rapporto con il pubblico. Polemizza contro una critica accomodante verso gli stereotipi, aspra verso le novità.

Io sono Sarah Kane è un’installazione di corpi e pensieri, un continuo fuoriuscire dal personaggio. L’esito a questa follia di sentimenti è il silenzio. Le attrici fanno un mucchio delle sedie. Ci schiodano dalle nostre poltrone, dalla nostra vita tranquilla, accompagnandoci sul palcoscenico. Ci invitano a guardare il personaggio nella sua essenza, come Pinocchio in carne e ossa contempla il proprio burattino. Ma qui i burattini siamo noi. Entriamo in un altro essere umano. Lo abitiamo. Respiriamo con lui. Superiamo la nostra verità, parziale e autoreferenziale, contaminati da un flusso di emozioni che persiste fuori della sala.