van gogh digitaleGIULIO BELLOTTO | “Un interno con quasi niente dentro, di una semplicità alla Seurat”. Di fronte alla porta azzurra riaffiorano alla memoria le parole con cui nel 1888 Vincent descrisse a Gauguin il dipinto della sua stanzetta ad Arles. Un interno vuoto come quello in cui ci apprestiamo ad entrare; un interno sacrale, trattandosi della Cattedrale – il nomignolo magniloquente e forse un po’ compiaciuto di cui si fregia la Fabbrica del Vapore, “una parte importante del recupero industriale di Milano, una struttura sorprendente fatta di arcate e ambienti dotati di una propria personalità” ci dice Fabio Di Gioia, curatore della mostra multimediale Van Gogh Alive qui ospitata dal 6 dicembre scorso. “Si è voluto combinare lo spazio con le proiezioni quindi anziché sviluppare un progetto da “infilare” in una grande scatola architettonica, sono state sfruttate le pareti, il pavimento, le finestre, persino il grande portellone di carico della vecchia FdV. Questo non fa che sottolineare quanto l’arte, i colori e la magia di Van Gogh possano essere forti e non necessitino di elementi artificiali; il risultato è che ci si può trovare immersi i quest’arte in maniera molto semplice”

The experience, questa la didascalia della mostra, si basa sulla proiezione di un video della durata di circa mezz’ora; gli spettacolari effetti creati dal sistema Sensory4 e dagli schermi alti fino a sette metri non hanno di per sé altro scopo che quello d’intrattenere un pubblico il più ampio e diversificato possibile. In qualsiasi momento è possibile entrare nella stanza e nel mondo dell’artista, articolato attraverso movimenti che ripercorrono la sua vita e ripropongono le sue opere tramite animazioni e immagini digitali. “Si è cercato di rendere l’animo tormentato e l’eccitazione interiore dell’artista nella maniera più immediata e comprensibile possibile non solo attraverso le opere, prodotte in pochissimi anni, ma proiettando anche stralci delle sue lettere”.

Benché il filmato segua indubbiamente un percorso logico e temporale, la decisione stessa di non organizzare dei turni per la visione ma di lasciare la più ampia libertà di movimento allo spettatore indica chiaramente che lo scopo della mostra non è affatto didattico: non si vuole rendere edotto il pubblico su alcunché e ciò naturalmente significa anche che questa esperienza non richiede conoscenze pregresse. Molti dei visitatori sono in effetti giovani, numerosissimi sono i bambini accompagnati dagli insegnanti o dai genitori; per Di Gioia “questa è una conferma del fatto che durante l’esperienza ci si trova davvero sensorialmente avvolti dalle opere; non è solo l’idea di un adulto che ha acquistato nel corso della sua vita una certa sensibilità vuoi per i suoi studi oppure perché opera nel campo dell’arte, ma è proprio un fatto istintivo ed i bambini sono la “cartina tornasole” di questo fenomeno. Come si dice spesso, c’è un bambino in ognuno di noi e durante la visione della mostra quel bambino si trova piccolo piccolo al cospetto di questa meraviglia di colori”

L’arte di Van Gogh, fatalmente pervasa di misantropia, diventa così la maggiore espressione possibile della democraticità nella fruizione dell’arte: basta un solo passo per entrare nell’opera, per fare del proprio corpo una temporanea estensione dell’esperienza coloristica e della stessa essenza di un uomo geniale e tormentato come pochi altri negli ultimi due secoli di storia occidentale.

La presunzione di quest’operazione è tipicamente contemporanea quanto il mezzo multimediale che viene utilizzato per concretizzarla; la liceità del progetto non si basa su ragioni filologiche o antiquarie ma piuttosto sulla considerazione del pubblico come metro della riuscita dell’evento artistico. L’arte digitale non è romantica, questo è intuitivo; non è più espressione assoluta di un io lirico universalizzato, anzi è funzionale allo spettatore che ne diventa elemento tanto centrale da diventarne di diritto una parte fondamentale.

L’effetto che questa mostra può suscitare, al di là dell’innegabile impatto emotivo, è quello di un paradosso reso ancora più singolare dal fatto che i quadri che sono impietosamente mostrati nei loro dettagli più minuti, ingranditi e luminosi sui pannelli, furono dipinti da Van Gogh come consolazione della sua anima e non per vocazione o ambizione artistica – che infatti iniziò a dipingere solo a ventotto anni.

Si tratta di un’operazione lecita? “Lo ha chiarito lo storico dell’arte Flavio Caroli: l’opera rimane l’opera e il mezzo tecnico, multimediale o fotografico, non snatura l’opera ma è un modo per riproporla. In un catalogo non ci sono le opere ma le riproduzioni delle opere. Qui ci sono riproduzioni digitali di opere organizzate secondo un montaggio visivo e un’ampiezza di immagine che ci avvolge e ci fa sentire piccoli nei confronti dell’opera. Ciò non sminuisce ma anzi esalta la bravura dell’artista; è un megafono, non è assolutamente riduttivo. sono convinto che quando nella prossima stagione verrà a Palazzo Reale la mostra di opere di Van Gogh tutti potranno ricollegare ciò che hanno visto qui a quello che vedranno e saranno più pronti ad apprezzare gli originali

Anche l’assessore Del Corno ha fatto notare che l’esperienza non riguarda i quadri, che rimangono ad Amsterdam a ricordarci chi fosse Vincent Van Gogh, bensì le loro riproduzioni rielaborate.
Di fronte a questa obiezione anche il critico più tradizionalista deve ammettere che la scelta di porre l’accento su alcuni singoli aspetti dell’arte di Van Gogh, quella più coloristica e vicina all’impressionismo francese piuttosto che sulla denuncia sociale di tele quali I mangiatori di patate, può essere condivisibile o non condivisibile – al pubblico sta il giudizio, secondo la stessa filosofia dell’arte multimediale di cui Van Gogh Alive è solo un primo esperimento.

Vi lasciamo al video reportage di Marcello Rotondella.

[youtube http://www.youtube.com/watch?v=0l6p-zfml_M&w=560&h=315]

2 COMMENTS

  1. Scusate ma non dite dove sono questi avvenimenti culturali, non ci sono indicazioni precise almeno annotate in un angolino della pagina?

  2. Carmela, riprendiamo dall’articolo “…la Fabbrica del Vapore, “una parte importante del recupero industriale di Milano, una struttura sorprendente fatta di arcate e ambienti …”
    leggendolo…

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