La schiena di Arlecchino di Chiara Guidi, foto di Simona  BarducciFRANCESCA GIULIANI | L’atto del vedere non è mai ricettivo: è un processo di selezione di proiezioni di significati, di emozioni, che fanno si che l’atto visivo non sia per nulla un atto naturale, ma un atto di pensiero, afferma Stefani Chiodi, critico d’arte con il quale si è chiuso il ciclo di dialoghi tra spettatori e pensatori (Massimo Recalcati, Andrea Canevaro, Maria Rosa Sossai e Louise Ejgod Hansen) sull’arte nel nostro tempo, tenutosi al Teatro Comandini di Cesena durante “Puerilia”. Nel quarto anno di attività, Chiara Guidi/Socìetas Raffaello Sanzio, ideatrice e direttrice delle giornate di puericultura teatrale, si concentra sul suo Metodo Errante, un linguaggio d’arte che non cerca la scrittura di una regola ma la domanda che muove il pensiero. Il Metodo si sviluppa in tre movimenti: verso gli insegnanti, con dei seminari (Il potere anacronistico dell’anima, 2014, Il potere analogico della bellezza, 2013, e La potenza analfabetica della fantasia incentrati sulla creazione degli spettacoli, 2011), verso gli attori, con due laboratori (per 15 partecipanti) incentrati sulla creazione degli spettacoli, e per il bambino stesso.

Sulle azioni teatrali.
La schiena di Arlecchino e La tana dei lombrichi sono forme teatrali aperte, che accolgono la partecipazione dei bambini nel gioco teatrale per attivarlo. Chiara Guidi, presenza silenziosa che si muove sulla scena con sguardo registico e stupore per l’inaspettato, presta costante attenzione a ogni gesto, parola, azione.
Dal fuori prende forma La schiena di Arlecchino, spettacolo senza storia, dove l’intreccio si costruisce sulla ricerca della storia stessa. I bambini si avvicinano all’ingresso e una figura, addormentata, si sveglia. La porta si socchiude e qualcuno ruba il contenuto della scatola che l’attrice stringe in mano. È la storia, bisogna trovarla. Ha inizio, così, il viaggio all’interno del corpo del teatro. Come Pinocchio che percorre il ventre della balena per cercare il suo artefice, Geppetto, qui, troviamo ciò che dà origine all’artificio teatrale: Buio e Luce, in lotta. Un’attrice sola e in nero, la prima, moltiplicata in più attrici di bianco vestite, la seconda. Chi ha più importanza? Nel conflitto le scene si modificano continuamente sotto i nostri occhi e i nostri passi, fino a raggiungere il climax finale. Nel luogo che per definizione deputiamo teatro, dove scena e platea sono ben distinte, avviene il ritrovamento della storia: è il mondo di Arlecchino, un oscuro spazio, dove alcune figure femminili, come Parche, intrecciano con i bambini fili di lana.
In La terra dei lombrichi folgoranti immagini scenografiche trasformano la visione dello spazio. Il luogo del climax è lo stesso, trasfigurato in un sotterraneo immerso nella nebbia, abitato da una bizzarra figura pelosa. Nel foyer attrici e bambini sono intenti a strappare brandelli di stoffa bianca, attorniati da attori vestiti come maschere del teatro. Tra questi spicca la figura del maestro, al quale sono rivolte domande intorno ai sentimenti scritti sulle magliette dei bambini e di una delle attrici che, a differenza delle altre, veste di nero e indossa il sentimento amore. Da qui parte l’azione e lo spazio si apre: appaiono i lombrichi senza volto e il loro signore, Morte. Il viaggio, la ricerca dell’amica di Amore, rapita da Morte, si trasforma in una sorta di discesa agli Inferi, dove la giovane attrice, seguita da spettatori, attori e bambini, scende, novella Orfeo, senza alcun timore.
Sugli “oggetti-luoghi”.
Gli “oggetti-luoghi” assumono la stessa forza degli spazi aumentandone il significato. Il grande tavolo di legno, la vetrata che dà sul foyer, e il luogo del climax come accennavo sopra, assumono, si potrebbe dire, la funzione che avevano i luoghi deputati nel teatro medievale. Il tavolo è il luogo di partenza e di ritorno, la scena primaria, il tramite per intraprendere il viaggio. Là si riuniscono bambini e attori per attivare l’azione. È sotto quel tavolo imbandito di fiori e scatole che, in La schiena di Arlecchino, si nasconde Luce rapita da Buio, lì avrà esito il conflitto. È attorno a quel tavolo coperto di stoffa che, in La terra dei lombrichi, bambini e attori si riuniscono, lì che assistiamo all’abbraccio tra Morte e Amore. La grande porta a vetri è il luogo di passaggio tra le azioni iniziali e quelle finali. Attraverso questa zona liminare la scena si sdoppia in due azioni contemporanee. Se, in La schiena di Arlecchino, la vetrata assume la funzione di schermo riflettente attraverso il quale noi spettatori ci specchiamo nei bambini e nelle attrici, protesi a osservarci, in La terra dei lombrichi la stessa vetrata diventa un sipario che si apre su Morte, mentre noi spettatori siamo su un’altra scena con attori e bambini che interagiscono con la nuova azione.
Arlecchino / La Morte.
Arlecchino e Morte, figure centrali, causano l’azione teatrale attraverso un furto. Se Arlecchino, sempre di spalle nel suo abito tradizionale, è il ladro della storia e la causa del conflitto tra Buio e Luce, Morte, raffigurata dall’iconografia classica, ha rapito una vita. La richiesta li accomuna: per far si che ogni conflitto si esaurisca vogliono un bambino, quindi, rifacendoci alle parole di Canevaro, il futuro.
Sulla falsità.
Il giudizio dei bambini mette in crisi l’attore […]l’attore può interrogarsi sulla propria falsità. Citiamo Chiara Guidi per raccontare l’incedere dell’attimo che aggrappa al reale durante queste visionarie azioni teatrali. “Basta con la storia! Ascoltiamo cosa succede!”, grida una bambina; “Come facciamo a chiamare senza cellulare?”, chiede un’altra, “Ma, abbiamo la voce!”, le rispondono. I bambini con i loro gesti e le loro parole riportano, come nel gioco, all’esperienza dell’azione. E il lavoro degli attori, come guide, maestri di scena, che giocano attivando l’immaginario fanciullesco, si costruisce in modo da far vivere ai bambini le “favole”. E ciò accade.