victorVINCENZO SARDELLI | Coralità, icasticità, molteplicità. Una danza rapida e briosa. È lo stile del Victor Ullate Ballet – Comunidad de Madrid, per la prima volta a Milano al Teatro Manzoni con Jaleos, Y, Après toi (omaggio a Béjart) e Bolero. Quattro coreografie, quadri narrativi diversissimi per genere. Un acuto senso del teatro e dell’utilizzo dei suoi strumenti. Saggezza, umanità. Balletto popolare. Libertà fisica e morale. Il tutto innestato su una solida base di scuola di repertorio. Sulla scorta del suo maestro Maurice Béjart, cui lo spettacolo è dedicato, Victor Ullate realizza uno show totale, senza tutù o fondali di cartapesta. Gesti e parole scelti, scene, musiche ed effetti speciali curati nei dettagli, rendono intrigante la performance: ballare è una virtù del cervello. Jaleos (musiche Luis Delgado) è una danza ritmata, elegante. A muoversi sono non soltanto ragazze in body e danzatori a torso nudo, ma anche le loro ombre geometriche, coreografie in alabastro. Si alternano movimenti dalla pulizia classica e mosse da ballo moderno. Questa danza si affida alla consapevolezza della propria corporeità. Come in una sorta di Tempi moderni della coreografia, gli ingranaggi si combinano calibrati. Creano gesti rotondi, ben orientati nello spazio-tempo. A ritmo tribale si animano fondi monocromi color pastello, fino all’epilogo pirotecnico.

Y, pax de deux maschile, è ispirato al Lieder eines fahrenden Gesellen di Gustav Mahler. Il direttore artistico della compagnia Eduardo Lao dà forma all’umanità e al destino con un brano dove virtuosismo e perfezione s’inseguono. rappresenta l’incontro fra gli influssi positivi e negativi dell’essere umano. Un pessimismo di fondo accompagna l’oscillare dei sentimenti. La visione ironica e amara dell’esistenza è contrapposta a un sommesso lirismo, che tende a sciogliersi in un canto di speranza malinconico. L’anelito romantico a una natura incontaminata, la ricerca di un’armonia perduta, sono ben resi dai due ballerini, uno in rosso, l’altro in blu, premurosi nel risollevarsi dopo ogni caduta. In questa danza solenne si rispecchiano i caratteri più sofferti della personalità romantica di Mahler. Più che l’originalità, ammiriamo la felicità espressiva, caratterizzata non solo dall’introduzione di nuovi timbri di movimento, ma da un insolito utilizzo degli strumenti espressivi tradizionali. La vigorosa danza a due è un tentativo di esorcizzare i presagi di morte tipici dell’alienazione e del tormento romantici. L’ipertrofia dei linguaggi esprime un rapporto “totale” con il mondo. L’esigenza di rapporti comunicativi oggettivi con lo spettatore non intacca l’alone d’ambiguità. Questo ballo didascalico rivela la convinzione che l’arte debba mantenere un contenuto morale estraneo al formalismo della danza pura. Mira al suono della natura, a una condizione primordiale di purezza espressiva che qui s’identifica con il mondo degli umili.

Après Toi (Omaggio a Béjart), è un assolo in cui la luce crea la forza e la forma. Il vigore poietico caravaggesco si coniuga con lo spirito rarefatto del Secondo movimento della Settima Sinfonia di Beethoven. Eppure i conti sembrano non tornare in questa danza magnificente, brillante, a tratti inafferrabile nella sua meravigliosa doppiezza. Emerge la tendenza all’equilibrio, fondato su un ordine che via via si ricompone e, quasi tirando le somme, riconosce i propri valori, legandosi ad atteggiamenti spirituali più contenuti e sereni: come di chi, lasciate le tenebre alle spalle, s’immerga con gioia nella luce aurorale di un nuovo ciclo. L’esuberanza ci trascina attraverso gli spazi della natura. La Sinfonia è l’apoteosi della danza nella sua suprema essenza, l’attuazione del movimento del corpo quasi idealmente concretato nei suoni. Victor Ullate viaggia verso un modo nuovo di concepire il balletto, fondandosi sul contrasto nel fluire del tempo degli elementi musicali organizzati al loro stadio primario: essenzialmente, come successione e opposizione di ritmi. Il balletto è sublimazione del ritmo musicale. È un tripudio luminescente, una sensazione di vitalismo, di gioia strappata ai fantasmi interiori.

La quarta coreografia è quella più teatrale, anche per la scenografia anni Trenta: tavolini neri, luci da night, ragazze in tenuta da charleston, atmosfere fumose da café chantant. L’iniziale brano Paris è spiazzante: poi parte il Bolero di Ravel. Una coppia in primo piana dà il via al rituale di corteggiamento che si farà sempre più vigoroso, aggressivo, fino al climax dell’amplesso. Ad accompagnarla gli altri ballerini, di cui danzano sguardi, mani, braccia. L’allegria è contagiosa. La sensualità esplode colpendo nel mucchio. L’amore è sentimento atavico, possessione che colpisce a prescindere dall’identità di genere. Victor Ullate con il suo balletto si fa antesignano di un messaggio di tolleranza. Trascina palco e platea in un crescendo d’intensità tipicamente spagnolo, rovente, forse però un po’ distante dalla sobrietà intimistica, sopita, spirituale (e pertanto più poetica) del suo maestro Béjart.

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