Chiara guidi FRANCESCA GIULIANI | Terminata la quarta edizione delle giornate di puericultura teatrale a Cesena, Chiara Guidi ci racconta “Puerilia”, un festival che nasceva con l’intento di dilatare la visone che sta attorno alla concezion del teatro dell’infanzia.  

PAC: Partiamo dal termine “teatro dell’infanzia”. 

CHIARA GUIDI: Ho sempre utilizzato il termine “infanzia” perché indica non tanto una tipologia di età, una generazione, ma una predisposizione a vedere le cose sospendendo l’uso immediato della ragione. Nel bambino la distanza tra la percezione e il ragionamento è breve. A guidarlo nell’esperienza del mondo è la logica della sensazione, la stes
sa che dà voce al movimento messo in moto dall’opera. L’infanzia, è, per me, parte integrante del lavoro artistico perché mette in campo quello sguardo che sento la necessità di riacquistare: lo sguardo dell’immaginazione.

PAC: Da festival a giornate di puericultura teatrale: com’è avvenuto il passaggio?

CHIARA GUIDI: “Puerilia” si è inserito come una presenza anomala all’interno del programma teatrale che il comune di Cesena organizza per le scuole. Volendo scardinare la logica del teatro cosiddetto “per ragazzi”, sentivamo la necessità di azzardare una forma che facesse scaturire una relazione diversa tra l’arte e l’infanzia e ci chiedevamo come il teatro di ricerca potesse soddisfare le richieste di un teatro rivolto ai bambini. Ho invitato gruppi teatrali contemporanei, tra i quali i Pathosformel, i Santasangre, e ho inscritto i loro spettacoli di ricerca in una precisa cornice all’interno della quale si potesse scatenare un racconto. Questo perché il rapporto con l’infanzia, oltre ad avermi ricordato l’urgenza di verità di cui necessita il racconto, mi ha fatto comprendere che l’unico modo possibile per creare una relazione con il bambino è attraverso la narrazione. Da festival “Puerilia” si è, poi, cambiato in giornate di studio dedicate all’infanzia in relazione al teatro e, in generale, all’arte. È questo il momento in cui ho cominciato a riflettere su quale sia il metodo che mi ha guidato e mi guida, tutt’oggi, nel lavoro con l’infanzia.

PAC: Com’è avvenuta la strutturazione del Metodo Errante?

CHIARA GUIDI: Sentivo che per parlare della nostra ricerca teatrale dovevo mettere a fuoco il metodo che sottende la nostra pratica artistica che già dalla fine degli anni Ottanta si è rapportata con l’infanzia. La nostra attenzione è rivolta a un tipo di spettatore che non è il bambino ma uno spettatore che accetta di vedere nella forma teatrale un principio di movimento. La forma teatrale, l’arte in generale, mette in moto l’immaginazione di chi guarda. L’arte ci chiama a entrare dentro e questo è ciò che noi le chiediamo, di entrare in un’altra visione possibile della realtà. È da questa condizione che parto per interrogarmi sul chiamare i bambini all’arte. I bambini non ci chiedono arte, ma una relazione d’arte, che porta a un vedere e percepire la realtà da un’altra prospettiva.

PAC: Il Metodo Errante mette in gioco tre figure: i bambini, gli insegnanti e gli attori. Partiamo dai corsi di aggiornamento per gli insegnanti delle scuole di Cesena.

CHIARA GUIDI: All’inizio della cultura umana, era per intuizione immaginifica che l’uomo poteva conoscere. Quest’immaginazione, oggi, non è più l’oggetto della nostra conoscenza. Pensando, ad esempio, alla scuola, è difficile che un insegnante si rivolga a un bambino da un’angolazione immaginifica, anche se, per attirare l’attenzione sul bambino, è necessario utilizzare il suo sguardo e quindi accettare che l’immaginazione diventi una forma di conoscenza. Questo è ciò che ho proposto agli insegnanti: una visione di arte che mettesse in relazione la reazione del bambino rispetto all’oggetto artistico. Ho iniziato con il Potere analogico della bellezza, quindi la metafora; poi, il Potere analfabetico della fantasia, quindi la sospensione del ragionamento, e quest’anno, il Potere anacronistico dell’anima.

PAC: Che cosa intendi per anima? 

CHIARA GUIDI: L’anima è difficile da poter circoscrivere come definizione, se non ricorrendo agli antichi, ai filosofi, eppure ci riguarda. Rispetto a una sensazione che nasce spontanea all’interno del proprio corpo, l’anima è l’innamoramento, la scintilla che guida l’espressione attraverso delle rappresentazioni, delle immagini, degli inseguimenti, dei contatti, delle sospensioni. Si tratta di un atto d’amore, com’è un atto d’amore che lega l’artista all’opera d’arte, com’è un atto d’amore quello che porta un bambino a giocare scoprendo nella forma della sedia un cavallo.

PAC: Che tipo di rapporto creativo instauri con gli attori?

CHIARA GUIDI: Con gli attori c’è una fase preliminare d’incontro. Mi presento davanti a una quindicina di attori il venerdì prima dello spettacolo, racconto una vaga traccia di quello che vorrei realizzare e attraverso di loro individuo dei ruoli. Gli consegno l’incipit di uno spettacolo di cui non conosco il corpo. Poi il venerdì notte lavoro, il sabato si prosegue, la domenica mattina nasce il finale e nel pomeriggio si va in scena. La preparazione è velocissima e c’è il rischio di incontrare attori che non hanno quella capacità di cui ti aspetteresti, ma qui sta l’abilità, nel poter far emergere una verità.

PAC: Come organizzi lo spettacolo in previsione dell’ingresso dei bambini in scena? 

CHIARA GUIDI: Ho assunto nella forma di preparazione degli spettacoli le caratteristiche del gioco infantile e il gioco, quando nasce, è spontaneo. La struttura che scrivo concepisce la reazione del bambino e so, grazie all’esperienza, alla maternità, che il bambino è una figura d’arte che va a completare la struttura che metto in moto. La struttura è in potenza, è la geografia del luogo, è la messa a fuoco dello spazio entro il quale poter agire e suscitare l’azione. Non creo lo spettacolo per il bambino ma con il bambino che viene a completare una struttura che lo attende.

PAC: “Non possiamo creare osservatori dicendo ai bambini: “Osservate!”, ma dando loro il potere e i mezzi per tale osservazione, e questi mezzi vengono acquistati attraverso l’educazione dei sensi”, scriveva Maria Montessori. Se per insegnati e attori, gli adulti, il Metodo Errante è un andare verso, con i bambini si tratta di un errare per, a favore di uno spettatore futuro, anche?

CHIARA GUIDI: Perché dobbiamo dire “Osserva!” se lo sguardo lo mettiamo già in atto vivendo in un ambiente che ci invita, costantemente, all’osservazione? La distanza che creiamo tra la parola e l’azione non fa altro che ritardare una responsabilità personale rispetto alla realtà e alle cose che ci circondano. Se noi ritorniamo a una visione personale della realtà, se torniamo all’autorevolezza della persona e a una personalizzazione della cultura, allora possiamo creare non solo uno spettatore futuro, ma anche un uomo in grado di vedere, nella realtà, quello che la realtà nasconde. C’è un processo metaforico tra me e l’oggetto che guardo, che anche la scienza riconosce attraverso la sistematizzazione di leggi che rivelano uno sforzo per vedere oltre la realtà. Questa è, anche, la capacità dell’arte: dire cose che diversamente non si potrebbero dire. Come potrei parlare della morte al bambino se non avessi l’arte? Come potrei parlargli delle relazioni litigiose tra famigliari, che magari vive, se il teatro non mediasse sublimando questa separazione con il gioco? Come la favola, l’arte diventa una proposizione interessante da rivolgere al bambino per evitare di dirgli “Osserva!”, ma perché quell’osservare diventi una pratica.