Battuage_1541LAURA NOVELLI | Una schiera di orinatoi appoggiati su quinte girevoli che si trasformano in camerini a vista dove svestirsi e truccarsi, o in recessi misteriosi per incontri sessuali a pagamento. Al centro, uno spazio performativo ritagliato nel nero e adibito a palcoscenico televisivo dentro il cui recinto urlare la propria rabbia, masticare la propria disillusione, confessare al pubblico l’indicibile. Si celebra qui il macabro rito sociale che Vucciria Teatro disegna in “Battuage”, secondo lavoro della compagnia siciliana vincitrice del Roma Fringe Festival 2013 e del Bando 2014 Stazioni d’Emergenza/Nuove Creatività di Galleria Toledo con quel “Io, mai niente con nessuno avevo fatto” che già raccontava storie crude di emarginazione e diversità ed esprimeva gli esiti di una ricerca drammaturgica interessante.

Questa nuova incursione nel disagio, nella perversione, nell’ambiguità di una strada che non fa sconti a nessuno, debuttata in prima nazionale al teatro dell’Orologio di Roma nell’ambito di “Dominio pubblico”, porta sempre la firma del venticinquenne Joele Anastasi (autore, regista e interprete) e insieme con Enrico Sortino (cofondatore del gruppo) e Federica Carruba Toscano, entrambi nel cast anche della precedente produzione, recita Simone Leonardi. Personalità sceniche molto diverse tra loro, e tutte capaci di una generosa energia emotiva e fisica, che tuttavia insieme restituiscono il dolore di un’umanità sbranata dal destino, dai sogni di successo, dall’acre necessità di vendersi per riconoscersi: uomo o donna, giovane o vecchio, sposato o celibe, italiano o straniero non fa differenza, tanto un angolo di solitudine spetta a ciascuno.

Il re di questa strada buia, continuamente allusa attraverso un linguaggio volgare e violento, parrebbe essere Salvatore (lo stesso Anastasi): slip neri, tacchi vertiginosi, giubbino in pelle indossato come una rock star, Salvatore è scappato dalla Sicilia per fare l’attore e invece è finito a battere su un marciapiede e aspetta da dieci anni che qualche cliente lo presenti alle persone giuste. E’ arrabbiato, inquieto, sconvolto ed urla la sua disperazione attraverso un microfono che amplifica i passaggi più lirici e personali di questa scrittura a tratti secca e a tratti poetica, dove però si insinua spesso una tendenza ad essere troppo espliciti, troppo diretti, troppo morbosi. Tanto che anche la potenza degli altri personaggi – il transessuale romano e il marito gay di Leonardi, la prostituta greca e la moglie omicida della Carruba Toscano, il giovane cliente incappucciato e il trans siciliano di Sorvino – viene messa talora a repentaglio da una sorta di barocchismo scenico che rischia di diradare l’attenzione del pubblico. Fatta salva, tuttavia, la forza di una visione che mostra promettenti segni di originalità e che, aprendo l’immedesimazione a continui intarsi brechtiani e cabarettistici, approda ad uno spettacolo di varietà – per certi versi simile a “Le variabili umane” della compagnia Atopos – dove a tratti e all’improvviso rifulge una verità autentica. E’ proprio in questi scarti che si annida la genuina bellezza di un lavoro forse ancora acerbo ma carico di suggestioni grottesche. Basti pensare alla scena del compleanno di Salvatore, con quella torta che rompe il gelo dell’ennesima notte di marchette e mette a nudo l’angoscia esistenziale di un ragazzo fragile che soffia sulle candeline e piange e ride, e ride e piange. E un pensiero corre alla struggente poesia de “Le cinque rose di Jennifer” di Annibale Ruccello.

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