carrozzeriaVINCENZO SARDELLI | Le nuvole barocche di Carrozzeria Orfeo (visto al Teatro Filodrammatici di Milano) si mettono lì, tra noi e il cielo. Per lasciarci una voglia di pioggia che arriva con il contagocce.

Erano tante le aspettative per questa giovane compagnia, di cui si parla un gran bene. E se al centro dello spettacolo c’era la poetica di Fabrizio De André, il successo sembrava certo. E invece queste Nuvole schermano il sole senza dissetarci. Eppure sono passati diversi anni dal debutto di questo lavoro, che andava forse ritoccato, e in mezzo ci sono stati i riconoscimenti per pièce come Idoli o Thanks for vaselina.

Il soggetto, così come viene presentato sul foglio di sala, incuriosisce. Eppure non capisci bene dove vada poi a parare.

Il luogo è uno scantinato, periferia anonima di una città imprecisata del Nord Italia. L’anno è il 1979: imperversa l’Anonima Sarda, che quell’estate ha rapito De André e Dori Ghezzi. Ecco i protagonisti: Nico l’anarchico, Beppe l’alcolista, Pier l’emarginato. Sembra amicizia, complicità, goliardia: finirà in cannibalismo. L’anarchia di Nino e l’alcolismo di Beppe affiorano a singhiozzi, neppure ci fai caso: «Non basta una corda a fare un impiccato», sentenziava Lee Van Cleef; neppure una bottiglia in mano a fare un ubriaco, aggiungiamo noi. L’emarginazione di Pier è vaga. Tre coatti privi di qualsiasi inflessione dialettale, dizione teatrale perfetta. La condizione borderline dovrebbe identificare i tre con De André, incrociarne poetica e valori. Ma questi balordi di periferia i valori li hanno smarriti. Intendono usare lo scantinato per sequestrare un bambino, per giunta autistico, per ottenere il riscatto.

Questo il Carrozzeria Orfeo-pensiero: «Con Nuvole Barocche non volevamo celebrare in modo divinatorio la figura del cantautore genovese. Abbiamo invece indagato la sua poetica, le sue debolezze di uomo, le fragilità e i limiti ispirandoci a ciò che lui stesso faceva attraverso la propria poesia: dar voce alle diversità e all’emarginazione. Abbiamo provato fin dall’inizio a distaccarci da alcuni facili luoghi comuni, dalla tentazione di abbandonarci a comode citazioni, cercando invece di comprendere il significato del sequestro De André-Ghezzi all’interno del suo contesto storico-sociale e quale valore possa assumere, nella vita di un essere umano, l’esperienza del rapimento. Tutto ciò ci ha portato a fare delle riflessioni sul ruolo del sequestrato e del sequestratore e di come, in fondo, queste due esperienze di miseria umana si assomiglino e si avvicinino».

«Ho poche idee, ma confuse», diceva Mino Maccari. Qui le idee sono tante, finiscono per ingarbugliarsi. Uno scantinato, un materasso, qualche sedia, una cassetta di legno, un fornelletto da campeggio. Luci lunari o da sotterraneo tratteggiano uno spazio scenico soffuso, vagamente claustrofobico. Scorrono parole e note sparse di Faber, Andrea, Amico fragile, Quello che non ho, Sally: omaggio, poesia, o specchietto per le allodole? A precedere il tutto il brano Le nuvole, 1990, sugli elementi che si frappongono fra sole e gente, oscurando prospettive e felicità. Le nuvole, frammento lirico di rara bellezza, nella versione originale ha due voci femminili a farsi da contrappunto. Visto che il brano non è cantato, Carrozzeria Orfeo ne propone una propria versione al maschile: meglio l’originale. Poi ricordi, emozioni, momenti di intimità sospesi tra fiori e stelle cadenti, in qualche modo affini alla poetica solitaria, livida di De André. C’è anche una prostituta, buttata lì un po’ come il due di picche, come se a legittimarla bastassero canzoni come Bocca di Rosa o Via del Campo. E un finale fumoso: spente le luci, il silenzio imbarazzato del pubblico sembra durare più degli applausi che precede. Che pure gli attori meritano, per la buona recitazione e una performance fisica da togliere il fiato. Però il lavoro (di e con Gabriele Di Luca, Massimiliano Setti e Luca Stano, con l’aggiunta dell’attrice Fabrizia Boffetti e Diego Sacchi al disegno luci) nel complesso rimane irrisolto. La regia c’è, la drammaturgia non convince: mancano semplicità, chiarezza, coerenza.

2 COMMENTS

  1. Ho un’idea che non mi confonde, questa tua riflessione “sgarbuglia” quando cita il due di picche.

Comments are closed.