EMANUELE TIRELLI | Visto dalla prospettiva di un autore, il Salone del libro di Torino fa un altro effetto, soprattutto se l’autore scrive per una casa editrice indipendente.
Nessuna paura: l’attività autopromozionale si riduce a un paio di frasi. Una di queste consiste nella dichiarazione d’aver pubblicato “Pedro Felipe” per i tipi di Caracò Editore e di averlo presentato anche durante il grande appuntamento piemontese che ha chiuso la sua ultima edizione lo scorso lunedì 12 maggio.
L’hashtag twitter #SalTo14 ha accolto case editrici piccole, grandi, medie ed enormi per altrettanti stand o porzioni di stand. Sì, perché i costi fanno la differenza e per molti esserci stati si è dimostrata sicuramente un’occasione per farsi conoscere e consolidare il rapporto con i grandi lettori, ma anche un sensibile rischio economico, tant’è che “come sta andando?” era senza dubbio la domanda di rito e tutt’altro che di pura cortesia.
Rispetto allo scorso anno il pubblico ha trovato più spazio tra uno stand e l’altro e più aria da respirare. All’apertura, ore 10 del mattino, un’invasione di visitatori copriva già a macchia d’olio la moquette del Lingotto e, tirando le somme, l’organizzazione ha dichiarato quasi 340mila presenze con un aumento del 3% rispetto all’edizione 2013. L’offerta per loro era infinita: libri, editori, spazi, eventi musicali, letture, approfondimenti e conferenze. Francesco Guccini, Federico Rampini, Corrado Augias, l’ex ministro Massimo Bray, Carlo Cracco e Francesco Abate sono solo alcuni dei centinaia, forse migliaia di nomi che hanno affollato padiglioni, sale e incubatori. La guida del Salone meritava uno studio attento. Gli appuntamenti, molti in contemporanea, dovevano essere scelti accuratamente e in anticipo per poter trovare posto, o anche solo per avvicinarsi.
Il Salone è stato come sempre un po’ di tutto, buono e brutto, bello e cattivo, atteso e inaspettato. Case editrici a pagamento guardate in obliquo, riviste di aeronautica, incisori di libri e tesi. Ed è stato anche cose che voi umani… Scrittori di colossi editoriali infastiditi per non essere stati riconosciuti e altri impegnati a farsi riconoscere per portare a buon fine un corteggiamento serrato e spudorato. Autori strappati via dai loro agenti immediatamente dopo la fine del “firmacopie” e bambini interessati all’acquisto di un libro scontrarsi con la faccia infastidita del proprio genitore. Ma, d’altro canto, non sono mancate gentilezze, cortesie sincere e inaspettate. Sorrisi veri e indipendenti dalla gestualità commerciale, conversazioni con i visitatori tra gli stand, chiacchiere dirette con gli editori e la possibilità di conoscere da vicino quelli che per molti lettori sono solo un marchio o un nome in copertina. Qualcuno si chiedeva il perché dello stand della Polizia di Stato e in molti si sono stupiti davanti a quello del Vaticano, Paese ospite di questa edizione, che ha portato al Salone una riproduzione decisamente imponente della cupola di San Pietro.
Ma l’elemento che merita di essere sottolineato con maggiore entusiasmo in un bilancio complessivo assolutamente positivo è sicuramente la presenza di una certa parte di pubblico. Quello arrivato con borsoni e trolley vuoti da riempire con i libri. Quello curioso di conoscere le nuove realtà editoriali, di leggere le ultime uscite, di soffermarsi sui nuovi autori. Quello che dice torno più tardi e torna davvero. Che si lascia consigliare e non ama andare sul sicuro, perché altrimenti non sarebbe mai entrato al Lingotto. Le copie del mio romanzo erano già terminate due giorni prima della fine del Salone e dal sorriso di alcuni colleghi, voglio credere sia accaduto lo stesso anche a molti di loro.