GIULIA MURONI | Un po’ come il fritto misto piemontese. Il rognone accanto all’amaretto, il semolino con le animelle, cervella con le mele. Delizioso.
Conclusa da qualche giorno la seconda edizione del Torino Fringe Festival sembra evidente la forza prorompente di questo festival di spettacolo dal vivo, letteralmente esplosa in una decina di giorni negli spazi torinesi. Tra spettacoli, feste, incontri con gli operatori e laboratori, i singoli siti sono stati spremuti fino al midollo, all’interno di un cartellone ambizioso e vorace, dove ogni luogo, ogni giorno per dieci giorni ha dato ospitalità a tre o quattro compagnie. Di qui per gli artisti la possibilità ardita e sfiancante di calcare la scena e mostrarsi al pubblico, anche in luoghi non convenzionali del teatro, per una decina di repliche consecutive.
Nato dall’idea folle della scorsa edizione (sulla scorta del Fringe scozzese), quest’anno l’immagine di riferimento è quella del tuffo di pancia. Rischioso e difficile, può anche essere doloroso. Ma il festival ha tenuto alte le ambizioni e nelle numerose location ha proposto un programma vario e articolato, forte di accostamenti del tutto arbitrari che hanno restituito uno scenario sfaccettato della scena teatrale contemporanea in Italia.
Abbiamo visto Giorgia Goldini, con il suo Gold Show, al Cafè des arts. In un formato pocket e componibile la performer ha dato vita ad un monologo incalzante via via componendosi attraverso le scelte del pubblico, dotato ad hoc di un menù. L’andamento rapsodico e casuale è aperto a una miriade di soluzioni possibili e Goldini dimostra di essere vivacemente in grado di tenere le redini di uno spettacolo in balìa della sensibilità (o reattività) del pubblico.
Di tutt’altra natura il Cyrano di Crab, visto al Garage Vian. In questo caso la prova è attoriale e autoriale insieme, nel confronto diretto con il testo di Rostand. Pierpaolo Congiu, attore storico di Crab, accompagna nei panni di Cyrano i due giovani interpreti in una ricostruzione onesta che lascia notevole spazio al testo di riferimento, denso e ricco per sua stessa natura. Anche qui una produzione low-cost, dove ad essere scomponibile è la scenografia, smontata e assemblata a più riprese sulla scena.
Ai Magazzini sul Po (lato sx dei Murazzi) è stata la prova di Kataplixi, con l’accattivante titolo Anch’io ho avuto un’infanzia di merda eppure non mi lamento. Questo spettacolo, ancora acerbo, ha debuttato in occasione del Torino Fringe, a partire da una personale lettura dei testi di Rodrigo Garcìa, in cui si arrovellano le tensioni e le nevrosi di una generazione in bilico tra il restare e il partire, il permanere nell’accidia o lasciarsi scivolare in una vanagloria lasciva.
In conclusione, per cercare di restituire un quadro inevitabilmente non esaustivo ma comunque nutrito delle differenti voci che hanno preso parte del festival, il Feet Theatre di Monsieur David (sempre al Garage Vian). Uno spettacolo di mimo, fatto con i piedi. I piedi, travestiti da differenti personaggi di volta in volta, inscenano gag comiche e amorose semplici e naif.
Questo è stato il Torino Fringe Festival. Incoerente, disordinato, con vette isolate di esperienza (l’eccellente lavoro sull’attore condotto dalla Piccola Compagnia della Magnolia), che porgono il braccio a opere molto giovani e in via di definizione di un baricentro di ricerca. Il “pacchetto” Torino Fringe Festival ha attivato un ingente numero di volontari, di iniziative di fundraising (es: vino To.Fringe) ed è stato possibile grazie anche ad una partecipazione degli artisti stessi molto flessibile. Ora è il momento di tirare le somme sull’accaduto e interrogarsi circa le potenzialità e lo spazio che vuole occupare un progetto di questo tipo. Quali le risorse, le aspettative, il pubblico, le ricerche stilistiche. Assimilare e metabolizzare questo importante malloppo calorico per creare un humus fertile e via via, magari, anche dal palato più fino.