RENZO FRANCABANDERA | Il percorso artistico di Mario Perrotta è senz’altro un percorso di fatica ma anche di successo. Parliamo di un professionista dal tratto istrionico e creativo, con un talento da solista non comune, maturato in anni di gioventù di mestiere rubato alla compagnia di famiglia e sviluppatosi poi, con onesto impegno artigiano, in una Bologna dove pian piano l’artista ha coagulato attorno a sé una compagnia con cui ha conseguito risultati nel complesso assai lusinghieri e non comuni, se pensiamo alle tante compagnie di emanazione familiare che da Nord a Sud popolano i teatri, ma per lo più con inclinazione provinciale.
Perrotta invece è un provinciale lanciato sul treno verso il Nord dei sogni, come racconta nello spettacolo “Emigranti Esprèss” di e con sé medesimo, di recente a Milano nella sempre ottima rassegna Stanze, curata da Alberica Archinto e Rossella Tansini, questa volta ospite nello splendido giardino della casa museo di Alik Cavaliere. La pièce è ricavata da una serie di puntate per la radio che narravano proprio l’emigrazione attraverso l’esperienza del viaggio in treno vissuta con gli occhi del giovane meridionale. Il primo pezzo, l’assalto al treno delle 21,05 verso la Germania dei terroni pugliesi, alla cui genia appartiene anche chi scrive, è un piccolo gioiello di metrica della narrazione: venti minuti da incorniciare e far sentire a chiunque voglia cimentarsi con questa forma di teatro. Uno slancio che non rimbalza con ugual forza nei due frammenti successivi, pur interessanti, ma a cui manca il propulsore autobiografico, come se nel passaggio dall’affresco soggettivo allo zoom del macrocosmo la lente si appannasse, lasciando il ritmo scenico un po’ fuori fuoco, restituendo meno vigore. Parliamo di un testo non nato per il teatro, e in un paio di circostanze si capisce, ma che l’istrionico attore domina. Perché Perrotta è una belva da palcoscenico, sente il pubblico in modo animale, lo capisci quando gode con gli occhi spiritati dell’attacco preciso di questa o quella base musicale, si asciuga le labbra con la mano, sorride compiaciuto e con il registro vocale e lo sguardo in giro per la platea inchioda tutti al suo racconto.
Questo stesso animale, nella dimensione plurale del secondo movimento del polittico teatrale dedicato al pittore Antonio Ligabue, dopo il grande successo del primo che recitava da solo, ritorna a proporsi come attore-regista con la sua compagnia in Pitùr, dove un Mario Perrotta un po’ Ligabue un po’ Kantor, fa da controcanto alla sua classe morta, al suo universo di disperati e soli, composto da Micaela Casalboni, Paola Roscioli, Lorenzo Ansaloni, Alessandro Mor, Fanny Duret, Anaïs Nicolas e Marco Michel. L’abbiamo visto l’altra sera in scena al Teatro La Cucina al Paolo Pini di Milano per Da vicino nessuno è normale, la rassegna estiva diretta da Rosita Volani, che ha ospitato il regista in residenza.
Tutti vestiti in pigiama bianco-manicomio, tutti soli gli interpreti, in alternanza fra momenti di fisicità teatrale, movimenti in sincrono con video proiezioni e giochi di luce, per raccontare gli esclusi. L’esperimento è un indubbia crescita rispetto a tutti gli ultimi lavori collettivi diretti da Perrotta, finalmente asciugato nella durata, coerente nel codice, sfidante e in alcuni momenti poetico. Ancora manca quel pizzico di costruzione drammaturgica collettiva capace di esaltare davvero i conflitti, di dare l’emozione costante, di non lasciare, come succedeva anche (e con più frequenza) nelle precedenti regie, in cui lo spettatore non di rado si trovava in una terra di mezzo dove la direzione appariva meno lampante di quanto non lo fosse nelle intenzioni artistiche. Tuttavia l’inizio e la fine dello spettacolo in particolare sono momenti assai intensi, con il finale che davvero lo porta ad una vetta poetica limpida. Nel mezzo ancora qualcosa da sistemare, forse in questo caso da aggiungere, per evitare di allungare troppo certe sequenze un po’ insistite.
Siamo, in ogni caso, ad un momento importante di maturazione di questo artista, sempre esaltante nell’uno contro tutti, che va perfezionando la sua capacità di direzione e lettura con la giusta cattiveria, e che sicuramente lavora a testa bassa, testardo, ma in realtà consapevole come pochi dei pregi e difetti dei suoi lavori, e capace di correggere il tiro, per indirizzarsi verso quell’essenzialità su cui forse anche l’esperienza genitoriale lo ha portato ora a riflettere con maggior consapevolezza.