LAURA NOVELLI | Se Maometto non va alla montagna, la montagna va da Maometto. E così, in tempi di crisi, anche il teatro si adegua e raggiunge il pubblico là dove sicuramente esso c’è: a casa sua. Sarebbe a dire negli appartamenti e nelle abitazioni private di persone che, ospitandone altre, si ritrovano ad essere spettatori senza muoversi di un passo. Iniziative di questo tipo – che per certi versi ricalcano format in voga una quarantina di anni fa e, addirittura, echeggiano quelle forme di spettacolo di corte fiorite nell’Italia rinascimentale prima che il professionismo dei comici dell’arte inventasse i teatri a pagamento – ne sono nate parecchie negli ultimi tempi. Basti citare “Stanze”, che a Milano è operativa già da tempo, o “Il teatro cerca casa”, attiva a Napoli e dintorni. Ma “Teatroxcasa” (www.teatroxcasa.com) di Raimondo Brandi, autore regista e attore con appassionata esperienza anche come reporter di viaggi, fa leva su due punti di forza innegabili: possiede un raggio di azione esteso su tutto territorio nazionale e nasce nell’alveo di quella filosofia dello sharing che, volenti o nolenti, sembra ormai essersi impossessata di numerosi aspetti della nostra vita. “L’idea di fondare Teatroxcasa – ci racconta Brandi – risale al dicembre scorso e diciamo pure che è stata dettata dalla disperazione. Lavoro in teatro da molti anni, sia da solo sia con Psicopompo Teatro di Manuela Cherubini, una compagnia che ha avuto prestigiosi riconoscimenti come il premio Ubu. A livello economico, però, siamo in una situazione disastrosa. Inoltre, mi rattrista molto dover registrare come nell’ambiente del teatro indipendente si sia sempre gli stessi; anche in sale istituzionali, il pubblico che ci segue è per lo più formato da addetti ai lavori per cui, ragionando e guardando ad esperienze degli anni ‘70, ho pensato di portare gli spettacoli nelle case, tra spettatori che siano tali per scelta e non per motivi professionali”.
Dando uno sguardo all’accuratissimo sito di questa pioneristica “piattaforma teatrale tra le case d’Italia”, si capisce bene cosa voglia dire Brandi quando parla di progetto 2.0 e di sharing: “Credo che cinque o sei anni fa un’iniziativa del genere non fosse pensabile, ma oggi che condividiamo tutto, dalla macchina alla casa per le vacanze, condividere la propria abitazione con altra gente e trasformarla per una sera in un teatro sembra normale”. Qui, inoltre, c’è piena libertà su entrambi i fronti perché non esiste una gerarchia tra i titoli “esportabili” e non c’è un direttore artistico che decide chi mandare dove. “La maggior parte delle iniziative simili a teatroxcasa funzionano come dei festival che hanno una direzione e dunque qualcuno che decide qual spettacoli siano migliori per questa o quella abitazione. Io ho rotto questo schema e ho creato un sistema economico a livello nazionale nel quale il sito funge da vetrina e luogo virtuale di scambio”. In pratica le compagnie che pensano di avere in repertorio una produzione adatta – ovviamente deve essere un lavoro molto agile, con uno o pochi interpreti e, se fuori diritti Siae, tanto meglio – si candidano mandando i materiali al sito. Poi lo stesso Brandi e Serenella Farsitano, sua socia e preziosa collaboratrice, fanno una selezione in base alla qualità e alla caratteristiche del lavoro (fino ad oggi sono arrivate oltre una quarantina di proposte e ne sono state scelte dieci, tra cui “Ragazza sola conoscerebbe uomo solo max 70 enne” di e con Carla Carucci, “Don Chisciotte in Sicilia” di e con Gaspare Balsamo, “La vita non basta” di e con lo stesso Brandi, “BIM BUM BANG” di e con Elena Vanni) e la postano con i relativi materiali informativi. A quel punto i padroni di casa interessati alla serata, scelgono il titolo che vogliono e propongono una data. Da lì parte l’organizzazione dell’evento e prende il via la macchina degli inviti, che possono essere circoscritti ad amici dei “committenti” o, come capita quasi sempre, ad altre persone incuriosite dalla proposta. “Oltre che sul sito, diamo risonanza alla serata sui vari social network e per ora la cosa funziona molto bene. Di solito uno spettacolo a domicilio, compatibilmente con le caratteristiche del luogo (l’ideale sarebbe avere un terrazzo spazioso o un giardino), prevede la partecipazione di quaranta/quarantacinque spettatori, partendo da un minimo di venticinque. Mediamente, su una quarantina di presenze, quindici provengono da prenotazioni on-line e c’è anche chi segue il progetto peregrinando di casa in casa”. Ma quanto può fruttare economicamente una serata-tipo? “Chiediamo una sorta di sottoscrizione volontaria di dieci euro a persona e l’incasso va alla compagnia, fatte salve la spese Siae (se ci sono), una piccola quota che spetta all’associazione e un’altra quota che va al padrone di casa per comprare vino e aperitivi”. Siamo, dunque, di fronte a un nuovo modo di pensare e fruire il teatro? Non ci sarebbe da stupirsene troppo visto che esso, tanto più nel Novecento, ha mostrato chiari (e fecondi) segnali di inquietudine rispetto alla sacralità dello spazio: spettacoli di strada, happening, incursioni nei grandi magazzini, nei vagoni della metropolitana, nelle università, persino in luoghi nevralgici della politica hanno riempito le pagine della migliore avanguardia. “Paradossalmente, però, il pubblico sembra più pronto dei teatranti a questo cambiamento. Ho notato maggiore resistenza da parte dei miei colleghi che da parte dei padroni di casa. E non capisco questo scetticismo visto che ormai ci muoviamo su un terreno già bello frantumato: gli impresari non esistono più, nessuno investe negli spettacoli, si fa fatica a girare, più di un monologo o di una pièce a due personaggi non ce lo possiamo permettere”.
Un ultimo sguardo al sito: venerdì 27 giugno, in una casa di Aprilia Nord (Latina), andrà in scena “Pepe” di e con Laura Riccioli. Brandi ci tiene però a raccontarmi che sono state già prenotate alcune serate di settembre, che per i prossimi mesi si prevede un incremento dell’attività e delle aree coinvolte. “Fino ad oggi il progetto è andato molto bene, soprattutto a Roma. Ci siamo mossi anche a Milano e dintorni, a Napoli, in Piemonte. La differenza la fa sicuramente il padrone di casa. E’ una figura fondamentale perché molto dipende da come lui organizza e vive l’evento”. E, ça va sans dire, in questo gioca anche l’appartenenza geografica e “gastronomica” del committente : “A Napoli gli aperitivi si trasformano sempre in vere e proprie cene a base di mozzarella di bufala e quant’altro. A Roma c’è molto spirito di accoglienza. A Milano tanto alcool e tartine”.