exhib_slideshow_exhibition_serious-fun_wilsonMARAT | Oggi sembro Stanley Kowalski. Con ai piedi ciabatte che mai avrei pensato di indossare. Mentre sorseggio un cappuccino. In bilico fra l’opportunità di offrire l’ennesimo contributo alla riflessione sul teatro contemporaneo. O arrancare fino al libanese per un estathè. Ma il problema è che conosco il tizio al tavolino qui a fianco. E lo so che adesso mi parla. “Ho rimesso in piedi il gruppo Marat. Perché la risposta è: hardcore. Cassa dritta e punk, nient’altro. E noi eravamo avanguardia, come gli Atari. Che ora partiamo per la Germania e ho già un mezzo aggancio per incrociare Alec Empire. Lui è uno a posto. Sai che quel primo maggio quando è successo tutto il casino contro il sistema io ero…”. Tu eri. Io ero. Noi eravamo. Qualcuno è ancora. Contro il sistema. Meravigliosa scusa che ci si racconta ad ogni fallimento. Dall’universale all’individuale. Faccio sì sì con la testa. Sposto i ray-ban. E torno a pensare a questa cosa del teatro contemporaneo, che proprio non mi fa dormire la notte. Inseguendo quelli che hanno già offerto il proprio contributo. Quelli del compitino ben fatto. Quelli che la maestra alle elementari non gli ha detto che i punti esclamativi vanno usati con parsimonia. Quelli che inneggiano alla cultura, ora che la nazionale manco è riuscita a vincere un mondiale. E quelli che copiano, confondendo forma e sostanza. Why don’t you all f-f-fade away… Sbadiglio alla Gambardella. Mentre quel che rimane di Alberto, mi sta osservando dall’altra parte del marciapiede. Tua madre ti veste sempre uno schifo, penso. Nodo alla gola. Che Alberto s’è perso e non sa più tornare. Eppure… Eppure eri tu che mi raccontavi di donne e rivoluzioni. Degli artisti e dei cialtroni. Che il tempo è signore, ogni tanto almeno. E che ridere quella volta che mi hai raccontato della finale di basket. È tutto lì.

“Allora Marat: contropiede, mancano tipo tre secondi, sotto di un punto. O victoria o muerte! C’è ‘sto tizio alto 20 cm più di te proprio sotto il canestro avversario. La palla gli arriva che manca un secondo. Lui alza le manone e appoggia. Canestro e vittoria”.
“Alberto, ma questo succede tipo sempre”
“Sì, ma la questione è che non era valido, la sirena aveva già suonato! Ma gli spettatori sono scesi lo stesso a festeggiare e a menare quelli dell’altra squadra. Insomma, il popolo si è preso quello che la vita gli stava negando”.
“Uhm, ma quegl’altri?”
“Hanno fatto ricorso”.
“E?”
“E hanno vinto”
“Alberto, che cazzo mi insegna questa storia?”
“Che si può far tutto. Ma bisogna resistere al tempo. Altrimenti non hai scuse, è solo fuffa. Hai fatto solo un po’ di casino”.